Una disbiosi intestinale può innescare alterazioni dei valori pressori, mentre programmi di digiuno potrebbero rappresentare un intervento correttivo e benefico. Queste le conclusioni di una ricerca, per ora condotta su modelli sperimentali, che getta nuove luci sui meccanismi eziopatogenetici dell’ipertensione, aprendo le porte a opzioni di intervento mirate sul microbiota intestinale.

La restrizione calorica riduce la comparsa di ipertensione arteriosa e migliora la disfunzione endoteliale, ritardando l'insorgenza di cardiopatie e malattie neurodegenerative attraverso la riduzione di massa grassa, valori sistolici e diastolici, produzione di radicali liberi e stress ossidativo.  Queste le conclusioni di una review condotta da un gruppo di ricercatori dell’Università Tor Vergata di Roma e pubblicata di recente su Nutrients. Ne abbiamo parlato con Nicola Di Daniele, ordinario di Medicina interna presso l’ateneo capitolino e prima firma dello studio.

La loro popolarità è in crescita, in particolare tra chi ha l’obiettivo di perdere peso. Un gruppo di clinici americani, però, ne ha voluto verificare, sulla base dei dati oggi disponibili, l’effetto su indici metabolici legati al rischio cardiovascolare. Parliamo della dieta chetogenica e del digiuno intermittente, oggetto di una review da poco pubblicata sull’American journal of medicine. Obiettivo degli autori era raccogliere informazioni e indicazioni sulla base di quanto a oggi noto in merito all’effetto dei due approcci dietetici su obesità, dislipidemia, ipertensione e glicemia.

Il digiuno intermittente e le diete ipocaloriche sono oggi approcci dietetici utilizzati per diminuire lo stato infiammatorio. Eppure, non ci sono risultati coerenti per quanto riguarda l’uomo.

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