A parlarcene, due degli autori, Alessandro Armuzzi e Laura Loy, Ibd Center, Irccs Humanitas research hospital, Rozzano (Mi).
D.ssa Loy. da quali premesse nasce l’idea del vostro lavoro?
Le evidenze scientifiche in ambito nutrizionale riconoscono l’importanza di sana e corretta alimentazione sul benessere intestinale, e questo aspetto è diventato particolarmente rilevante nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, quali morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa. In particolar modo, le fibre alimentari rappresentano la componente nutrizionale verso cui si è sviluppato un crescente interesse, per la loro capacità di bilanciare l’infiammazione e impattare sul microbioma intestinale. Vi è tuttavia una notevole discrepanza tra le linee guida nutrizionali aggiornate dalle società scientifiche, e il reale consumo di fibra alimentare nei pazienti Ibd, che risulta essere ridotto rispetto alla popolazione generale non solo nella fase di attività di malattia, ma anche nelle fasi di remissione. Il mancato raggiungimento di un adeguato consumo di fibra alimentare è sicuramente multifattoriale, condizionato soprattutto dalla ridotta tolleranza nei confronti della reintroduzione di alimenti fonti di fibra, in particolar modo verdure e legumi, esponendo il paziente al rischio di restrizioni alimentari non necessarie. Le diverse fonti utilizzate dai pazienti per ricevere consigli nutrizionali, inoltre, non risultano concordanti e supportate da evidenze scientifiche rigorose, talvolta anche in ambito medico. L’idea del nostro lavoro nasce appunto dall’esigenza di fornire ai professionisti della salute che si occupano di nutrizione in Ibd le evidenze più aggiornate riguardo il consumo di fibra alimentare nei nostri pazienti, in diversi setting clinici, analizzando i pattern alimentari utilizzati e gli specifici interventi nutrizionali con utilizzo di fibre intrinseche.
Che tipo di analisi avete condotto?
Ci siamo concentrati sull’analisi degli studi clinici interventistici e osservazionali condotti in pazienti affetti da Ibd che hanno valutato in maniera rigorosa la tolleranza e l’efficacia di un approccio nutrizionale basato sull’utilizzo di differenti fonti alimentari. Abbiamo in particolar modo scelto di caratterizzare in maniera specifica il tipo di intervento nutrizionale, le fonti alimentari di fibra valutate e selezionate per raggiungere il target nutrizionale, al fine di comprendere l’applicazione di tali approcci nella pratica clinica reale.
Quali evidenze sono emerse?
Sebbene gli interventi nutrizionali analizzati fossero eterogenei come setting clinico, fonti di fibra alimentare, durata dell’intervento nutrizionale e metodi utilizzati per valutare la tolleranza e l'aderenza all'intervento dietetico, in tutti i gruppi di intervento nutrizionale con un elevato apporto di fibre si sono riscontrati tassi elevati di mantenimento della remissione, nonché significativi miglioramenti clinici. Inoltre, le diete sono risultate tutte ben tollerate.
Prof. Armuzzi, quali conclusioni se ne possono trarre?
Nei pazienti affetti da Ibd, soprattutto nelle fasi di remissione di malattia, occorre promuovere un adeguato apporto di fibre da diverse fonti alimentari, che deve essere personalizzato in base a preferenze e tolleranza. Esiste, tuttavia, la necessità clinica di chiarire in modo più accurato il tipo e quantità di fibra tollerata nelle fasi di attività e di remissione nonché il contributo delle fibre alimentari nell’indurre e mantenere la remissione nei pazienti con Ibd nei diversi contesti clinici, ovvero malattia stenosante, piuttosto che overlapp di sintomi funzionali.
Quali scenari di aprono su questo fronte e quali i filoni di ricerca più promettenti da indagare?
Nella pratica clinica, occorre implementare gli strumenti nutrizionali di valutazione non solo della quantità di fibra alimentare, ma anche della varietà di fonti alimentari. È fondamentale che la comunità scientifica continui la ricerca nutrizionale orientata ad analizzare i diversi contributi dei sottotipi di fibre da fonti alimentari specifiche, che potrebbero fornire informazioni più realistiche corrispondenti consumo nella vita reale di alimenti ricchi di fibre come fibre intrinseche. Inoltre, lo sviluppo di studi preclinici che colleghino la dieta, il microbiota e la produzione di acidi grassi a catena corta rappresenterà uno dei filoni di ricerca più promettenti per la comprensione della diversa tolleranza variabile a diverse quantità e tipi di fibre alimentari nei pazienti con Ibd. Ci auguriamo che, in futuro, una piena comprensione dei meccanismi che influenzano la variabilità della risposta all’assunzione di fibre alimentari nei pazienti con malattie infiammatorie intestinali possa portare allo sviluppo di diete personalizzate sulla base dei fattori intrinseci ed estrinseci dell’individuo.
Nicola Miglino