Il ministero della Sanità, del Consumo e del Benessere, fautore del provvedimento, specifica che un influencer è “una persona che può condizionare un gran numero di bambini a causa dei molti follower sui social media o nei media digitali, e che interagisce con il pubblico attraverso post, messaggi, video, blog, network di vario tipo”.
La necessità del provvedimento nasce dai numeri preoccupanti sull’obesità nella penisola iberica.
Secondo quanto riportato da Food navigator, infatti, in base a uno studio pubblicato sulla Revista española de cardiologia nel 2020, il 34% della popolazione tra i 3 e i 24 anni risulta in sovrappeso o obesa, e se ci si concentra sulla fascia compresa tra i 3 e gli 8 anni, la percentuale sale al 40%. Oggi si stima che il 15% dei bambini spagnoli sia obeso, un tasso che nel 1984 era pari al 3%.
Nel mondo, la situazione non è di certo più rosea. Secondo l’Oms, dal 1975 a oggi i tassi di obesità infantile sono triplicati, e nel 2016 nel mondo c’erano 340 milioni di bambini e ragazzi di età compresa tra i 5 e i 19 anni in sovrappeso o obesi, mentre nel 2020 lo erano 39 milioni di under 5.
La proposta della Spagna, non suona, però, come voce nel deserto. In Francia, per esempio, sono in vigore restrizioni alla pubblicità di cibi spazzatura e tasse sulle bevande zuccherate. In Germania, l'industria pubblicitaria è stata invitata a inasprire le regole sulla comunicazione di junk food ai più piccoli e nel Regno Unito una legge specifica vieta la pubblicità degli alimenti a elevato contenuto di grassi, sale e zuccheri fino alle 21 in televisione e a qualunque orario online.
I divieti per legge sembrano ormai l’unico strumento di difesa, considerati gli investimenti in pubblicità dell’industria che assommano a cifre 30 volte superiori a quelle che qualsiasi governo può stanziare per campagne di educazione alimentare.
Nicola Miglino