Parliamo di sostanze presenti naturalmente nell'acqua e nel suolo, assunte attraverso il cibo ma utilizzate anche come additivi alimentari, principalmente nelle carni lavorate, per aumentare la durata di conservazione ed evitare contaminazioni batteriche.
Studi in vitro e su modelli animali ne hanno indagato benefici e rischi in relazione all'insorgenza del diabete di tipo 2 (T2D), ma, a oggi, mancano dati epidemiologici e clinici.
Ecco così che i ricercatori hanno effettuato un ampio studio prospettico su un gruppo di 104.168 adulti francesi. L'età media dei partecipanti era di 42,7 anni a inizio studio e sono stati seguiti per circa sette anni. I partecipanti hanno completato questionari dettagliati sulle abitudini dietetiche. Durante il periodo di follow-up, in 969 hanno sviluppato diabete.
Una volta effettuata una correzione dei dati per potenziali elementi confondenti (Bmi, stile di vita, altri fattori dietetici che non fossero il consumo di nitriti a nitrati), i risultati hanno evidenziato che il terzile a consumo maggiore di nitriti presentava un rischio di sviluppare diabete del 27% più alto rispetto al terzile a consumo più basso. Quando poi si è andati a indagare gli additivi come fonte di nitriti, chi ne consumava di più correva un rischio del 53% più alto rispetto a chi non ne consumava. Nessuna correlazione, invece, tra consumo di nitrati e insorgenza di diabete.
“I risultati di questa ampia coorte prospettica non evidenziano alcun potenziale beneficio per nitriti e nitrati nella dieta”, commentano gli Autori. “Abbiamo invece visto come una maggiore esposizione ai nitriti, sia dagli alimenti che come additivi, si associ a un rischio più elevato di T2D, fornendo un ulteriore contributo al dibattito sulla sicurezza di queste sostanze e la necessità di interventi normativi che ne limitino l’uso come additivi alimentari. Riteniamo, a questo punto, necessari ulteriori studi di conferma su altre tipologie di popolazioni”.
Nicola Miglino