Asma e Bpco, vitamina D ad alte dosi utile solo in caso di grave deficit

03 Marzo 2021

La vitamina D ad alte dosi non si rivela efficace nel prevenire le ricadute di asma e Bpco se non i soggetti gravemente carenti. Questi i risultati di un’analisi post hoc condotta su un sottogruppo di 775 tra i 5 mila partecipanti a uno studio condotto tra il 2011 e il 2013, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo teso a valutare l'effetto di un’integrazione mensile di vitamina D ad alto dosaggio in diversi ambiti clinici.

Dopo avere pubblicato, nel corso di questi anni, i risultati degli esiti su malattie cardiovascolari, infezioni respiratorie, rischio di cadute e fratture, ora gli Autori rendono noti su Nutrients i dati su una fetta di popolazione con asma (n=214), Bpco (n=356) o entrambi (n=205), con età media di 67 anni, divisi equamente tra maschi e femmine.

Tutti sono stati randomizzati a una dose orale iniziale di 200 mila Ui di vitamina D3 seguita da 100 mila Ui al mese o a placebo, per un periodo medio di follow-up di 3,3 anni. Le riacutizzazioni sono state definite come situazioni in cui si rivelava necessario ricorrere a corticosteroidi orali. Il livello medio basale di 25OHD nel sangue era di 63 nmol/L. Solo nel 2,3% dei casi era <25 nmol/L.

I risultati evidenziano un aumento dei livelli ematici di vitamina D nel gruppo attivo da 63 a 135 nmol/L, senza però un effetto sulla riduzione di corticosteroidi, sia in chi soffriva di una delle patologie, sia in caso di comorbilità. L’effetto protettivo è stato osservato soltanto tra coloro che partivano da livelli inferiori a 25 nmol/L: tasso di ricadute di 10 volte inferiore al placebo.

Così concludono gli Autori: “Sebbene la supplementazione mensile di vitamina D ad alte dosi non abbia avuto un impatto complessivo sulle esacerbazioni di asma e Bpco in questa popolazione di anziani, abbiamo avuto ulteriore evidenza, come già in altri studi, dei benefici tra quanti presentano situazioni di grave carenza. In generale, l’approccio si rivela sicuro, benché abbiamo notato, tra le donne assegnate al gruppo vitamina D, un rischio di ricadute superiore del 46%. Un dato anomalo rispetto a quanto presente in letteratura, probabilmente dovuto al caso. Il nostro auspicio è che vengano implementati trial clinici in grado da una parte di identificare valori soglia e dosaggi idonei per ottenere i benefici auspicati e, dall’altra, di dare conferma della sicurezza nella popolazione femminile”.

Nicola Miglino

 

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