Alzheimer: scoperti i meccanismi delle difese antiossidanti contro la neurodegenerazione

16 Dicembre 2020

Una risposta cerebrale antiossidante potrebbe essere la chiave di volta per impedire i processi di neurodegenerazione causati dall’Alzheimer, aprendo le porte all’ipotesi che anche un apporto equilibrato di micronutrienti possa avere un ruolo nella protezione dal danno causato dall'accumulo di beta-amiloide. Questo quanto suggerito da uno studio pubblicato su The Journal of Neuroscience, frutto della collaborazione tra la University of Texas medical branch (Utmb), l’Oregon health & science university e l’Università degli studi di Roma Tre. 

La ricerca contribuisce a chiarire gli eventi molecolari alla base della malattia di Alzheimer, sottolineando il ruolo delle difese antiossidanti contro la neurodegenerazione in soggetti che invece presentano placche amiloidi e grovigli neurofibrillari nel cervello, tratti istopatologici caratteristici della malattia.

Si sono affrontati i meccanismi per cui un particolare gruppo di individui, indicato come Non-demented with Alzheimer neuropathology (Ndan), resiste alla demenza, nonostante i depositi amiloidei e della proteina Tau siano invece indicativi di una sintomatologia di Alzheimer.

“Lo studio si basa sull’analisi di 34 campioni post-mortem di corteccia cerebrale di soggetti controllo, alzheimeriani e Ndan, sia maschili sia femminili, ai quali la University of Texas medical branch ha accesso grazie alla collaborazione con la Brain bank dell’Oregon health & science university”, afferma Giulio Taglialatela, vice-chairman del dipartimento di Neurologia e direttore del Mitchell center for neurodegenerative diseases della Utmb, principal investigator dello studio insieme, tra gli altri, alla sua équipe composta da Anna Fracassi, Michela Marcatti, Olga Zolochevska e Natalie Tabor. “Nei tessuti dei soggetti Ndan abbiamo scoperto una differente espressione dei fattori che modulano la risposta antiossidante: in particolare, molecole di microRna regolatrici negative di fattori di trascrizione della risposta antiossidante, sono presenti a basse concentrazioni negli individui Ndan e altamente espresse nei pazienti con Alzheimer”.

Così Sandra Moreno, docente di Neurobiologia dello sviluppo presso il dipartimento di Scienze dell’Università degli studi di Roma Tre e co-autore dello studio: “Da anni il nostro gruppo di ricerca si occupa del ruolo dei radicali liberi nella fase di innesco e di progressione della malattia di Alzheimer. Oggi abbiamo un’ulteriore conferma del nostro lavoro: lo studio, infatti, rivela la capacità dei soggetti Ndan di attivare una risposta cerebrale antiossidante efficace, per far fronte allo stress ossidativo, che rappresenta uno dei meccanismi primari di danno. Tale resilienza innata sembra così giustificare le abilità cognitive intatte degli Ndan che, in effetti, mostrano livelli di danno ossidativo ai neuroni e alla glia più bassi rispetto alle persone con Alzheimer, simili invece alla condizione normale di controllo”.

Il lavoro, oltre a far progredire le conoscenze sulla malattia dell’Alzheimer e sul ruolo della prevenzione dello stress ossidativo, come forma di resistenza alla neurodegenerazione provocata dalla patologia, può gettare le basi per nuovi approcci terapeutici alla malattia, possibilmente basati sull'attivazione delle difese antiossidanti.  

“I nostri risultati ci autorizzano a ipotizzare che uno stato redox preservato nelle cellule del sistema nervoso, attraverso abitudini di vita controllate, incluso un apporto equilibrato di micronutrienti con proprietà antiossidanti, possa avere un impatto positivo nella protezione dal danno causata dall'accumulo di beta-amiloide, le cui cause sono raramente genetiche e più spesso ambientali o altrimenti acquisite”, conclude Moreno. “Se questa potenziale neuroprotezione possa riferirsi a una prevenzione, ovvero a un'attenuazione del danno, rimane da chiarire, come pure da chiarire sono i potenziali interventi terapeutici sui pathway molecolari individuati grazie al nostro studio. Occorre infatti notare che i soggetti Ndan si trovano in una condizione neuroprotetta "innata", non acquisita attraverso stili di vita specifici. Quindi l'eventuale applicazione terapeutica suggerita dal nostro studio dovrebbe essere non tanto quello di fornire molecole antiossidanti esogene, ma di "mimare" la condizione degli Ndan, attraverso la stimolazione della risposta enzimatica antiossidante endogena, per esempio attivando fattori di trascrizione come Pgc1-α, a monte di tale difesa”.

Nicola Miglino

Top
Questo sito utilizza i cookies, che consentono di ottimizzarne le prestazioni e di offrire una migliore esperienza all'utente. More details…