E se gli effetti della curcumina dipendessero dalla sua interazione con il microbiota intestinale? Una domanda che frulla nella testa dei ricercatori da diverso tempo e che origina dall’apparente paradosso di una potente attività biologica e di una bassa biodisponibilità del derivato della Curcuma longa. Arrivando la sostanza praticamente integra nell’intestino, ecco che allora è nata l’ipotesi che la sua azione si possa compiere a questo livello, mediata dalla popolazione batterica intestinale.

Presentato a Milano l’Advisory board qualità degli integratori di origine botanica, un panel multidisciplinare di esperti italiani e internazionali nato su iniziativa delle aziende Indena e Scharper con l’obiettivo di fornire indicazioni condivise, supportate da rigorose evidenze scientifiche e dall’esperienza clinica sui cosiddetti botanicals.

Mentre prosegue l’attività di verifica del ministero della Salute sui casi di epatite colestatica acuta, non infettiva e non contagiosa, riconducibili al consumo di curcuma, crescono i timori legati al consumo della sostanza. Ecco l’opinione di Ludovico Abenavoli, professore associato di Gastroenterologia all’Università Magna Grecia di Catanzaro.

Occhio all’uso protratto, in particolare nelle donne anziane, e al fai da te. Troppo spesso, infatti, il ricorso a prodotti a base di curcuma e a integratori in senso più generale, sfugge al controllo dei medici quando, in caso di eventi avversi, sarebbe sufficiente la sospensione immediata dell’assunzione di cui però il più delle volte è a conoscenza solo il consumatore.

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