Ne abbiamo parlato con Alessandra Berry, del Centro di riferimento per le Scienze comportamentali e la Salute mentale dell’Istituto Superiore di Sanità e prima firma del lavoro.
Dr.ssa Berry, quali sono, innanzitutto, le peculiarità della curcumina che la rendono interessante per un potenziale impiego nell’ambito delle malattie neurodegenerative?
Lo stress ossidativo e la neuroinfiammazione sono fattori critici nel processo neurodegenerativo. Tra gli aspetti più interessanti della curcumina vi è sicuramente la sua capacità di agire come antiossidante, come antinfiammatorio e, grazie alla sua peculiare struttura molecolare, anche di poter colpire direttamente le placche beta-amiloidi in condizioni patologiche specifiche quali la malattia di Alzheimer. Quest’ultima caratteristica, unita alla tipica fluorescenza che la contraddistingue, rende la curcumina interessante anche dal punto di vista diagnostico e per il monitoraggio della progressione di quelle patologie degenerative assimilabili all’Alzheimer. Per quanto riguarda le proprietà antinfiammatorie, la curcumina è in grado di bloccare il fattore di trascrizione NF-kB, con conseguente riduzione della produzione di citochine pro-infiammatorie. Come antiossidante, invece, è in grado di agire sia come “spazzino” dei radicali liberi, sia attraverso il fattore di trascrizione Nrf2 il cui potenziamento porta all’aumento della produzione di enzimi antiossidanti. Inoltre, sul lungo termine, la curcumina stimola e potenzia le difese dell’organismo rendendolo più efficiente e pronto a fronteggiare condizioni stressanti. È proprio questo secondo aspetto, unitamente alle caratteristiche precedentemente menzionate, a rendere l’utilizzo della curcumina estremamente promettente nel contesto di strategie volte alla prevenzione, più che alla cura, delle patologie neurodegenerative.
Che cosa ci dice la letteratura in questo ambito, dalla pre-clinica alla clinica?
I risultati degli studi preclinici sono generalmente in favore di un utilizzo della curcumina in ambito clinico e sono di fondamentale importanza per individuare punti di forza e di debolezza da sottoporre all’attenzione della ricerca farmacologica. La curcumina, anche in modelli animali assai diversi tra loro, si è mostrata molto efficace nel ridurre lo stress ossidativo riducendo in modo consistente l’infiammazione sistemica ma soprattutto la neuroinfiammazione. Per quanto riguarda gli studi clinici, a oggi solo pochi si sono focalizzati sull'effetto della curcumina sul declino cognitivo nell’uomo e i risultati non sono sempre coerenti tra loro. Questo si deve in parte a un problema di biodisponibilità della sostanza, aspetto su cui l’industria farmaceutica sta lavorando molto, ma anche all’eterogeneità dei protocolli di dosaggio e durata della somministrazione, all’età delle coorti oggetto di studio, nonché alle variabili risposta osservate. Messi insieme, tutti questi aspetti rendono spesso complesso il confronto tra gli studi e ci suggeriscono che esiste un’effettiva necessità di mettere in atto trial clinici con disegni sperimentali solidi e protocolli il più possibile standardizzati.
Esiste un effetto “di genere”?
Gli studi esistenti hanno purtroppo esplorato poco questo aspetto, se ci si riferisce a una diversa efficacia della curcumina nell’uomo e nella donna. Tuttavia, sappiamo che esiste una specificità di genere relativa ai periodi di vulnerabilità nella vita dell’individuo. Per esempio, sappiamo che nella donna l’arrivo della menopausa, rappresenta un importante fattore di rischio per la salute generale e spesso coincide con l’insorgenza del declino cognitivo che può dare adito a demenza anche associata a neurodegenerazione. Dal momento che la supplementazione con curcumina, come precedentemente accennato, dovrebbe essere intesa come strategia preventiva, possiamo immaginare che un suo impiego nelle donne, nell’età tipica in cui si iniziano a osservare i primi sintomi della menopausa, o anche prima, potrebbe mostrarsi particolarmente efficace nel contrastare o ritardare l’insorgenza del declino cognitivo.
Quali sono le criticità rispetto alla supplementazione?
La curcumina si caratterizza per una bassa solubilità in acqua, un’elevata instabilità nella maggior parte dei fluidi corporei e scarso assorbimento intestinale. Quindi, in generale, il problema più grande rispetto alla sua supplementazione è costituito dalla scarsa biodisponibilità. In altre parole, la quantità di sostanza che giunge in circolo senza essere modificata è minima. Proprio questa criticità, unitamente alle indicazioni derivanti da studi preclinici e clinici sull’elevato potenziale della curcumina nel contrastare il declino cognitivo, sta spingendo l’industria farmaceutica verso la messa a punto di formulazioni in grado di aumentarne la biodisponibilità e l’efficacia terapeutica/preventiva. Nonostante la sua scarsa biodisponibilità, è da notare che la flora batterica intestinale è in grado di produrre metaboliti attivi con elevato potenziale neuroprotettivo, un aspetto che rende ancora più interessante l’impiego della curcumina nel contesto delle patologie neurodegenerative.
Esistono formulazioni più indicate di altre?
L’industria farmaceutica si sta chiaramente orientando verso formulazioni orali, che poi sono anche quelle più accettate dalla popolazione generale, caratterizzate da un’elevata stabilità e resistenza nel passaggio attraverso l’apparato gastrointestinale e mirate a ridurre la sua metabolizzazione e ad aumentare la permanenza nel circolo sanguigno. Da questo punto di vista, l’impiego di nuove tecnologie si sta mostrando particolarmente promettente. Studi clinici volti a saggiare l’efficacia di trasportatori quali, per esempio, i fitosomi, in grado di aumentare sia l’assorbimento intestinale sia la permeabilità all’interno delle cellule della curcumina, stanno dando risultati molto promettenti.
In conclusione: quali sono a oggi le certezze e quali ambiti dobbiamo ancora esplorare sulle proprietà neuroprotettive della curcumina?
La ricerca di base e i pochi studi clinici effettuati finora hanno fornito indicazioni molto convincenti sull’efficacia della curcumina nel contrastare il declino cognitivo. Tra le criticità che devono però essere affrontate e risolte c’è sicuramente l’aspetto legato alla biodisponibilità di questa sostanza. È inoltre di fondamentale importanza individuare specifiche popolazioni a rischio come, per esempio, le donne in pre-menopausa e tenere in considerazione gli effetti dello stato nutrizionale, della dieta e dello stile di vita nel valutare l’efficacia della curcumina. Un’altra criticità è sicuramente costituita dalla capacità futura d’individuare biomarcatori di efficacia affidabili e possibilmente poco invasivi. Inoltre, poiché le donne sono caratterizzate da una maggiore vulnerabilità alle patologie neurodegenerative simil-Alzheimer, tali studi dovrebbero anche tenere conto di effetti specifici di genere.
Nicola Miglino