In collaborazione con Yakult Italia

Nella lunga corsa allo spazio il mantenimento di un buono stato di salute degli astronauti diviene sempre più decisivo, considerati i tempi di permanenza in condizioni di assenza di gravità e stress di varia natura che vanno via via allungandosi anche per raggiungere mete sempre più lontane. Per questo, gli esperti da tempo stanno studiando quale possa essere la dieta ottimale per garantire il miglior assetto alle diverse funzioni biologiche fuori dalla terra.

Il microbiota intestinale gioca un ruolo chiave per salute dell’uomo. Dieta e stile di vita hanno un impatto diretto sulla sua composizione e gruppi microbici specifici sono oggi noti per contribuire allo stato di salute o di malattia dell’organismo. Ecco così che due accademici dell’Università del Maryland, Debabrata Biswas e Shaik O. Rahaman, hanno deciso di raccogliere in un volume di 300 pagine (Gut microbiome and its impact on health and diseases; Springer International Publishing) quanto oggi noto sul rapporto tra microbiota intestinale e nutrizione da una parte e, dall’altra, sul suo coinvolgimento nei processi metabolici, con un occhio anche al mondo animale da allevamento, per sondare la possibilità di modulare la nostra flora microbica intestinale con prodotti animali migliori nel contrastare obesità, cancro e cardiopatie.

 

 “Sarà possibile in futuro diagnosticare alcune malattie oculari anche tramite l’esame del microbiota oculare e intestinale? Su questa materia siamo ancora all’anno zero: ci vorranno numerosi studi per confermare queste ipotesi, ma le evidenze potrebbero iniziare a suggerire questo”. Così Alberto Lanfernini, consigliere dell’Associazione italiana medici oculisti (Aimo), riunitasi a congresso nei giorni scorsi a Roma. “Senz’altro - prosegue Lanfernini - il tema è fortemente innovativo in oculistica, quasi una frontiera inesplorata, in cui ci si comincia ad affacciare”.

La longevità è caratterizzata da un calo progressivo della diversità nella composizione del microbiota intestinale.  Tutto questo si traduce in una perdita di geni coinvolti nella produzione di acidi grassi e in un incremento dei geni coinvolti nel metabolismo degli aminoacidi con conseguente aumento delle funzioni proteolitiche pro-infiammatorie. In questa ottica, sta suscitando grande interesse lo sviluppo di nuovi probiotici, al fine di integrare, in maniera specifica, proprio quei gruppi microbici la cui abbondanza si riduce con l’invecchiamento. Ne abbiamo parlato con Patrizia Brigidi, docente di Biotecnologie delle fermentazioni, presso il dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna “Alma Mater”.

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