Di conseguenza, molte delle attenzioni si stanno rivolgendo alla composizione del microbiota intestinale, nel tentativo di comprendere come venga influenzato dalle nuove condizioni ambientali e come, a sua volta, possa determinare ricadute a livello gastrointestinale, musculo-scheletrico, immunologico e neuro-comportamentale.
A fare il punto, una review pubblicata di recente su Frontiers of physiology.
“Il nostro obiettivo era di raccogliere dati e informazioni sugli effetti che le modifiche del microbiota intestinale determinano prima, durante e dopo la missione” sottolineano gli Autori. “Gli astronauti, infatti, sono sottoposti a diversi stimoli stressogeni, dall’assenza di gravità, alle radiazioni cosmiche, dalle restrizioni dietetiche, alla privazione del sonno, all’alterazione del ritmo circadiano che, nell’insieme, costituiscono il cosiddetto esposoma. Ebbene, gli studi a oggi disponibili dimostrano che l'esposoma spaziale è in grado di influenzare pesantemente la composizione del microbiota intestinale, alterando la condizione di omeostasi dell’organismo. Strategie mirate a preservare un profilo eubiotico potrebbero aiutare a mitigare tali effetti. Ciò si potrebbe garantire con diete in grado di favorire la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA), integrate dalla somministrazione di prebiotici e probiotici ad azione sinergica. I probiotici allo studio, compreso L. casei Shirota, già protagonista di alcuni test per valutare la capacità di sopravvivenza delle cellule nello spazio, potrebbero rappresentare un’opzione sicura in grado di contribuire a contrastare dismetabolismi, perdita muscolare e ossea e alterazioni di carattere neuro-comportamentale. Servono ora studi clinici dedicati per capire come mettere a punto prodotti specifici da utilizzare durante le missioni”.