In netta contraddizione con quanto, a oggi, viene raccomandato dalle linee guida americane sull’alimentazione che indicano un limite di una porzione a settimana e da quelle inglesi che invitano a non superare i 70 g/die, nonché dai moniti delle maggiori organizzazione scientifiche internazionali, a partire dal World cancer research fund (Wcrf) e dall’ American institute for cancer research che invitano a un consumo limitatissimo di carne rossa, piuttosto che la Iarc (International agency for research on cancer) afferente all’Oms che ha classificato come “probabilmente cancerogene” le carni rosse e “cancerogene” quelle processate.
Nel lavoro pubblicato sugli Annals, un panel internazionale di ricercatori delle Università canadesi McMaster e Dalhousie ha effettuato cinque revisioni sistematiche della letteratura. La prima, su 12 trial e 54 mila persone, non ha evidenziano una correlazione statisticamente significative tra consumo di carne e rischio di malattia cardiaca, tumori o diabete.
Altre tre sono state condotte su studi di coorte di milioni di persone, evidenziando solo un “piccolo” aumento del rischio con un consumo di carne rossa o processata tre volte alla settimana, rischio sostenuto, dicono gli autori, da prove di bassa qualità.
Infine, una quinta, condotta su comportamenti e gusti dei “carnivori”, sottolinea il loro convincimento che la carne faccia bene alla salute e l’indisponibilità a cambiare comportamenti alimentari di fronte a effetti potenzialmente nocivi.
Così, dunque, le conclusioni della ricerca: non vi sono motivi per modificare il proprio consumo abituale di carne rossa o trasformata (3-4 volte a settimana la media in Nord America ed Europa), sebbene il livello di evidenza di queste affermazioni venga segnalato come medio-basso.
Proteste dalla comunità scientifica internazionale
A questo punto, apriti cielo. Già a scopo preventivo, un gruppo di 13 importanti ricercatori in ambito nutrizionale, tra cui uno dei coautori della ricerca, aveva esortato l’editor in chief degli Annals, Christine Laine, a non pubblicare lo studio, "in attesa di un’ulteriore revisione": evidenze modeste, sottolineavano in una lettera, "non sono in alcun modo una base logica o persino razionale per suggerire raccomandazioni".
In un documento a firma congiunta, il Wcrf e la stessa Iarc, insieme a una decina di prestigiose società scientifiche, si sottolinea come “Il pubblico potrebbe essere messo a rischio se interpreta questa nuova raccomandazione nel senso che può continuare a mangiare tutta la carne rossa e lavorata che vuole senza aumentare il rischio di cancro. In realtà il messaggio da dare è che non dovremmo mangiare più di tre porzioni di carne rossa alla settimana e mangiare poca, se non addirittura per nulla, carne lavorata. Ci atteniamo alla rigorosa ricerca degli ultimi 30 anni ed esortiamo il pubblico a seguire le attuali raccomandazioni sulla carne rossa e sulla carne lavorata”.
Durissima la Harvard school of public health, che sottolinea innanzitutto il fatto come le conclusioni dei ricercatori contraddicano quanto loro stessi raccontano nelle metanalisi che invece, lette correttamente, confermano tutti i rischi legati al consumo di carne. Si definisce sorpresa per il fatto che una rivista così prestigiosa si sia prestata alla pubblicazione di linee guida, giudicate irresponsabili e non etiche, di un panel autonominatosi, senza alcuna condivisione all’interno della comunità scientifica, ribadendo che non possono in alcun modo essere messe in discussione le evidenze di studi clinici randomizzati ed epidemiologici sui rischi cardiovascolari, metabolici e oncologici legati al consumo di carni rosse e lavorate.
Critiche, infine, anche sul fatto che il lavoro degli Annals non prenda in esame l’impatto ambientale del consumo di carne che invece ha ricadute importanti per la salute (n.m.).