Nel linguaggio comune, il nome di stafilococco viene più frequentemente utilizzato per indicare una specie ben precisa, ossia lo Staphylococcus aureus. Non è infrequente il riscontro di “portatori sani” del batterio, presente nel naso, sulla cute o nell’intestino e tenuto a bada da un sistema immunitario efficiente. Se, però, la barriera cutanea si danneggia o il sistema immunitario è compromesso, possono insorgere gravi infezioni della pelle, delle ossa, dei polmoni e del sangue.
La profilassi si effettua tramite il ricorso ad antibiotici, locali o sistemici, con, però, rischi di recidiva, disbiosi intestinale o comparsa di antibiotico-resistenza.
Ecco così che, da qualche tempo sono cominciati ad affiorare studi su modelli animali legati all’impiego di probiotici nel contrastare la colonizzazione dei ceppi di S. aureus, sino ad arrivare al lavoro clinico di Otto et al. su 115 soggetti sani, tutti colonizzati naturalmente dal batterio.
Sono stati divisi in due gruppi a ricevere, per 30 giorni, 250 mg/die del probiotico Bacillus subtilis MB40 o placebo, andando a misurare, a fine test, la colonizzazione di intestino e naso da parte di S. aureus tramite esame delle feci e tampone nasale. Non si sono riscontrati cambiamenti nel gruppo di controllo, mentre nel gruppo probiotico si è osservata una riduzione del 96,8% di S. aureus nelle feci e del 65,4% nel naso.
"Il probiotico non uccide S. aureus, ma diminuisce fortemente la sua capacità di colonizzare", sottolinea Otto. "La strategia consente di colpire il batterio lasciando intatta la composizione del microbiota, danneggiata, invece, dall’impiego di antibiotici. Ovviamente il probiotico non funziona così rapidamente come gli antibiotici, ma può essere utilizzato per lunghi periodi perché si è rivelato sicuro. Si tratta ora di continuare il lavoro testando il probiotico su un campione più ampio e per un tempo più lungo”.
Nicola Miglino