“Al momento non vi sono dati disponibili sull’efficacia in caso di Covid-19, né prove di un’utilità in profilassi” sottolineano gli Autori. “Sono però circa una trentina gli studi a oggi registrati su Clinicaltrials.gov volti a fare chiarezza in quest’ambito, con un razionale basato su una letteratura ricca di indicazioni che suggeriscono come tale approccio possa prevenire le infezioni o accorciarne la durata, grazie a un’azione immunostimolante, antinfiammatoria e antiossidante.
Spesso, però, i risultati dell’impiego di vitamina C sono contrastanti e tra le spiegazioni ecco affacciarsi quella legata a un ruolo dei trasportatori intracellulari di acido ascorbico nel condizionarne l’effetto finale.
“L’efficacia della vitamina C può dipendere da fattori quali età, sesso, etnia ma anche dall’espressione dei geni che codificano per i trasportatori implicati nel suo ingresso in cellula” sottolinea Carlos M. Isales, condirettore dell’Mcg center for healthy aging. “La possibilità che la vitamina C entri o no all’interno della cellula è fondamentale per la sua azione. Senza un adeguato trasporto che consenta a questa molecola idrofila di attraversare lo strato lipidico della membrana cellulare, si viene a determinare un accumulo all’esterno che innesca una serie di reazioni la cui conseguenza è un aumento dello stress ossidativo: in sostanza, l’effetto opposto rispetto al contrasto dei radicali liberi che si dovrebbe attivare a livello intracellulare”.
Dati sulle infezioni virali mostrano, secondo gli Autori, benefici della vitamina C Iv nel migliorare la funzione polmonare in caso di distress respiratorio acuto, tra le principali conseguenze di Covid-19. La stessa condizione di forte stress ossidativo, tipica anche di Covid-19, si lega a un'espressione significativamente ridotta del trasportatore della vitamina C.
I ricercatori americani hanno già evidenziato nel passato come i processi di invecchiamento si associno a una minore espressione di almeno un sottotipo di trasportatore di vitamina C.
“Tra i soggetti a maggior rischio di Covid-19 - commentano - si annoverano proprio gli anziani o soggetti con comorbidità quali artrosi, ipertensione, e diabete che presentano livelli più bassi di vitamina C, una carenza che può aggravarsi in corso di malattia giacché l’infezione porta l’organismo a consumare più acido ascorbico, privandosi di un presidio antinfiammatorio utile in caso di iperattivazione citochinica”.
Così concludono: “L’auspicio è che gli studi in quest’ambito tengano sempre in considerazione l’espressione e il polimorfismo genici del trasportatore intracellulare di vitamina C, valutabili attraverso tecniche di Pcr - Polymerase chain reaction. A questo punto riteniamo urgente indagare in tempi rapidi la correlazione tra livelli plasmatici di vitamina C, rischio di infezione e gravità del quadro clinico per comprendere definitivamente se l’acido ascorbico può davvero rappresentare un’arma efficace contro Covid-19, in particolare negli anziani o in caso di comorbilità”.
Nicola Miglino