Psicobiotici, la sfida del prossimo futuro per la malattia mentale

01 Luglio 2020

Negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare del cosiddetto asse intestino-cervello, noto anche come gut-brain-axis. Una relazione complessa, quella tra cervello e intestino, nella quale entrano in gioco diversi attori, con un ruolo di primo piano svolto dal sistema nervoso enterico e dal microbiota intestinale. Di psicobiotica e più in generale del ruolo che il microbiota e i probiotici possono giocare nel delicato equilibrio che regola il nostro sistema nervoso centrale e periferico abbiamo parlato con Bernardo Dell’Osso, direttore della Clinica psichiatrica all’Ospedale Sacco di Milano e Gianluca Serafini, docente di Psichiatria all’Università degli Studi di Genova.

“Il microbiota intestinale, un sottoinsieme del più generale microbiota, è il più ricco e importante ed è composto da centinaia di specie batteriche diverse tra loro e svolge varie funzioni di tipo metabolico e di modulazione dell’attivazione del sistema immunitario”, sottolinea Dall’Osso. “Inoltre, il microbiota intestinale è un sistema in continuo cambiamento nel corso della vita. Dalla nascita all’età avanzata, infatti, si assiste a una variazione nella composizione che, peraltro, viene modificata da altri fattori tra cui l’alimentazione, lo stile di vita, l’esercizio fisico, l’utilizzo di farmaci. Insieme all’epitelio intestinale, il microbiota forma la barriera intestinale, il cui stato di salute influenza quello generale dell’individuo. Una barriera intestinale sana permetterà un corretto scambio funzionale, mentre una danneggiata o sofferente non sarà in grado di svolgere adeguatamente le proprie funzioni, con conseguenti processi di malassorbimento e microinfiammazione, in grado di provocare ripercussioni sullo stato di salute individuale”.

Negli ultimi anni, molta ricerca si è concentrata sulle possibilità di manipolare il microbiota per ottenere benefici in diverse aree della medicina attraverso interventi che vanno dalla somministrazione di prebiotici e probiotici al trapianto microbico fecale”.

“Mentre questi tipi d’intervento si stanno sempre più affinando nell’area di patologie gastrointestinali, quali la sindrome dell’intestino irritabile, la loro applicazione nell’area della salute mentale è a uno stadio più precoce” , prosegue dall’Osso. “Dall’evidenza che interventi sul microbiota nel modello animale sono in grado di modificarne l’interazione sociale e una serie di altri modelli comportamentali, negli ultimi anni si è iniziato a valutare i pazienti con diversi disturbi ascrivibili all’area della salute mentale, per appurare se essi presentino delle differenze nella composizione del microbiota rispetto ai controlli sani e quali siano le possibilità terapeutiche attraverso interventi con nutraceutici, prebiotici e, soprattutto, probiotici”.    

Campioni di pazienti con specifici problemi psichiatrici, quali disturbi schizofrenici, depressivi, disturbi d’ansia e dello spettro autistico hanno evidenziato una diversa composizione del microbiota rispetto a campioni di soggetti sani. Mentre resta da chiarire se tale dato rappresenti una conseguenza piuttosto che una concausa associata allo specifico disturbo valutato, recenti studi interventistici hanno valutato l’azione dei probiotici su specifiche dimensioni sintomatologiche quali appunto quella depressiva, quella ansiosa, quella correlata allo stress e altre ancora.

“I risultati sono stati in molti casi incoraggianti e hanno dato il via a una nuova fase della ricerca in questo campo, dalla quale ci aspettiamo di conoscere con maggiore precisione non solo in quali disturbi ma soprattutto in quali espressioni di gravità, in quali fasi e con quali risultati nel medio-lungo termine tali interventi possano essere considerati clinicamente utili da un punto di vista terapeutico”, conclude Dall’Osso.

Nel 2013 è stato coniato il termine psicobiotico per definire quei probiotici in grado di determinare effetti benefici sulla salute mentale. Altri agenti implicati sono i cosiddetti prebiotici, che altro non sono che sostanze nutrienti per i microrganismi benefici.

“I meccanismi diretti e indiretti con i quali questi agenti esercitano i propri effetti protettivi sono molteplici e includono azioni locali sull’intestino ed effetti generalizzati, per esempio sulla regolazione del sistema immunitario o sulla modulazione di sostanze attive sul sistema nervoso periferico e centrale”, prosegue Serafini. “I risultati degli studi sull’utilizzo degli psicobiotici sono al momento molto promettenti, ma appaiono da approfondire e verificare. Tra i promettenti, possiamo sicuramente citare quelli relativi a uno studio clinico pubblicato su Beneficial Microbes, il cui obiettivo era di valutare, con scale standardizzate, le proprietà del ceppo probiotico Lactobacillus plantarum DR7 rispetto a placebo e i suoi meccanismi d’azione in un campione di 111 adulti affetti da stress moderato. La somministrazione di DR7 per 12 settimane è risultata associata a una riduzione significativa dei livelli di stress, ansia e distress psicologico, rispetto a coloro che assumevano placebo. Fra i soggetti che assumevano DR7 si sono inoltre osservati livelli plasmatici significativamente ridotti di cortisolo e una riduzione della risposta infiammatoria, che risulta invece incrementata in diverse patologie neuropsichiatriche. La somministrazione di DR7 si correla inoltre, negli adulti di età pari o maggiore dei 30 anni, con un miglioramento di alcune funzioni cognitive, in particolare memoria, attenzione, funzioni cognitive emotive e apprendimento. È presumibile che queste ricerche avranno, in tempi relativamente brevi, sviluppi importanti; un futuro ricco di potenzialità attende la ricerca sul microbiota e le sue applicazioni cliniche”.

Nicola Miglino

 

 

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