In Italia, il miele è tra i principali settori di intervento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf), sia per quel che riguarda gli alimenti generici che i controlli ufficiali sulle produzioni di qualità.
Al giorno d’oggi le pratiche sleali più frequentemente riscontrate nel settore apistico si rinvengono su due fronti.
Da una parte nel sistema di etichettatura, il più delle volte irregolare per utilizzo di locuzioni ingannevoli od omissione di indicazioni obbligatorie e, dall’altra, nel caso di miele unifloreale, spesso di provenienza europea, nella non rispondenza dell’origine botanica e/o geografica alla categoria dichiarata e/o con caratteristiche chimiche/organolettiche anomale.
È chiaro che in entrambi i casi si parla di comunicazione ingannevole a danno del consumatore.
Volendo dare una base giuridica all’argomento, è bene ricordare che l’etichettatura del miele trae le basi dalle disposizioni del Regolamento (UE) 2011/1169. In particolare, come ne precisa l’art. 7, è previsto che le informazioni sul prodotto non debbano alludere a effetti o proprietà non posseduti, vantando caratteristiche particolari dell’alimento e, soprattutto, evidenziando in modo esplicito la presenza o l’assenza di determinati ingredienti e/o sostanze nutritive.
Parallelamente, l’art. 4 del D.lgs. 21 maggio 2004, n. 179 vieta di aggiungere al miele qualsiasi ingrediente alimentare (compresi gli additivi) e qualsiasi altro ingrediente che non sia miele stesso, precisando altresì che, nei limiti del possibile, si debba assicurare l’assenza di sostanze organiche e inorganiche estranee alla sua composizione.
Tuttavia, come già accennato, è noto che il metodo più conosciuto e utilizzato per assicurare al proprio prodotto maggior successo è l’alterazione tramite l’aggiunta di ingredienti vietati come, per esempio, sciroppi zuccherini di varia origine, tra cui mais, riso, rape e zucchero di canna.
Volendo andare oltre frontiera, risulta emblematica l’esperienza del miele di Manuka proveniente dalla Nuova Zelanda, prodotto da api che raccolgono il nettare dall’albero nativo, appunto, di Manuka e denominato Leptospermum scoparium. Si tratta di un miele rarissimo e speciale, saltato agli onori per le sue proprietà altamente antibatteriche riconducibili principalmente al contenuto di metilgliossale, il cui acronimo Mgo si trova spesso stampato sulle etichette dei barattoli.
Il ministero dell’Industria primaria della Nuova Zelanda (Mpi) ha adottato nel 2017 una definizione di questo prodotto, prevedendo due differenti test di controllo della qualità a seconda che si tratti di miele uni- o multifloreale. Tutto ciò nell’intento di attribuirne maggior certezza giuridica e, di conseguenza, scongiurarne eventuali abusi da parte dalle aziende produttrici.
Diversi infatti sono stati gli episodi di ritiro dal mercato di miele di Manuka adulterato. Nel 2016 si sono verificati ben 18 ritiri di prodotti della Evergreen Life Ltd. considerati dal Ministero neozelandese come contenenti sostanze non approvate.
Di recente, invece, precisamente in data 9 aprile, si è reso necessario un ritiro da parte della Enzo Ltd. di un lotto di Inno Superfood a marchio “Manuka Honey” contenente velluto fresco di cervo e pappa reale, per omissione dell’indicazione in etichetta dell’aggiunta di pappa reale, la quale in alcuni casi può anche causare gravi reazioni allergiche, tra cui asma e altre disfunzioni respiratorie.
A far vacillare il successo del miele di Manuka ci pensa un nuovo prodotto proveniente direttamente dall’altra parte del globo: il miele di fiori di erica realizzato in Scozia precisamente nelle contee del Lothian, Dumfriesshire, Stirlingshire, Fife e Aberdeenshire, nato da un progetto del 2017 ispirato a valori come provenienza, purezza, responsabilità sociale e sostenibilità ambientale.
I ricercatori della Fera Science Limited, in collaborazione con l’azienda produttrice, la Scottish Bee Company, hanno provveduto ad analizzarne i valori nutrizionali e il risultato è stato a dir poco soddisfacente: è stato infatti rilevato un contenuto significativo di un micronutriente essenziale, il manganese.
Non a caso, lo scorso mese l’azienda avrebbe addirittura ottenuto per prima nel Regno Unito il famoso marchio Kitemark della British standards institution (Bsi), impegnata nella promozione della qualità degli alimenti. Non stupisce di certo il fatto che tale marchio sia un simbolo riconosciuto anche a livello mondiale, a tutela sia di aziende che di consumatori di Regno Unito, Usa, Canada ed Europa.
È innegabile che il contesto fin qui descritto delinei l’esigenza di una maggior presa di coscienza da parte delle aziende, poiché è evidente che, in mancanza dei dovuti controlli e del rispetto della normativa, inevitabilmente il consumatore finirà per non fare più affidamento sulla qualità dei prodotti che acquista, optando per soluzioni di minor valore, creandosi così un clima di sfiducia generale nei confronti di nuovi prodotti che potrebbero risultare essenziali per il verificarsi di un cambiamento sostanziale nella qualità di vita di ciascuno di noi.
Valentina Faziani, Regulatory affairs specialist, Imola.