Utilizzare un integratore a base di licopene per ridurre la tossicità di farmaci antitumorali. L’ipotesi trova conferma in uno studio clinico italiano condotto su pazienti con carcinoma metastatico del colon-retto trattati con inibitori dell’Epidermal growth factor receptor (Egfr), da poco pubblicato sul Journal of funcional foods. Ne abbiamo parlato con Mauro Moroni, direttore della divisione di Oncologia all’Ospedale San Carlo Borromeo di Milano e prima firma della ricerca, resa possibile grazie alla collaborazione e al supporto dell'Associazione oncologica milanese - AmolavitaOnlus, dal 1980 presente e attiva all'interno della struttura ospedaliera.

Dr. Moroni, che cosa sono gli anti-Egfr e che uso se ne fa in oncologia?

L’Epidermal growth factor receptor - Egfr - è un recettore presente a livello della membrana cellulare, la cui attivazione è in grado di regolare la proliferazione, la differenziazione e la sopravvivenza della cellula. Sebbene presente anche su cellule normali, tale recettore è frequentemente iper-espresso a livello delle cellule tumorali, rappresentando un meccanismo fondamentale per la crescita di molte neoplasie. Negli ultimi venti anni sono stati sviluppati numerosi farmaci in grado di interferire con il meccanismo d’attivazione cellulare mediato da Egfr, sia a livello della parte esterna del recettore, sia a livello del sito tirosin-chinasico più interno, in grado di inibire, in entrambi i casi, il segnale d’attivazione cellulare. Tali farmaci sono diffusamente utilizzati per il trattamento di pazienti affetti da carcinoma del colon retto, carcinoma polmonare e carcinoma della testa e collo che esprimano Egfr e che abbiano un profilo biomolecolare che evidenzi una funzione centrale della via d’attivazione di Egfr nella crescita della neoplasia.

Che tipo di effetti collaterali possono determinare tali farmaci?

Caratteristica dei farmaci aventi come target Egfr è la tossicità cutaneo/mucosa che, sul piano clinico, si manifesta con eritema, rash papulo-pustoloso, secchezza cutanea, alterazione della crescita pilifera, prurito, alterazioni ungueali e, meno frequentemente, iperpigmentazione, tricomegalia e mucositi. L’inibizione di Egfr porta alla produzione di sostanze ossidanti tramite la produzione di citochine proinfiammatorie. L’espressione di Egfr a livello dell’epidermide fa sì che tale inibizione causi delle vistose e fastidiose reazioni infiammatorie.  Tale tossicità gioca un ruolo fondamentale sulla qualità della vita del paziente, ed è frequentemente di entità tale da influire con il benessere fisico, psicologico e sociale del singolo, portando talvolta alla sospensione o a una riduzione di dose del farmaco.

Perché avete pensato al licopene come possibile rimedio agli effetti sulla pelle?

Come frequentemente succede, l’idea ha avuto origine da un’osservazione del tutto casuale. Un paziente molto attento ai possibili effetti benefici di alcuni nutrienti per il benessere dell’organismo, ci chiese se l’assunzione di licopene fosse compatibile con il trattamento allora in atto con farmaco anti-Egfr. Dopo 15 giorni circa dall’inizio del trattamento, ci riferì che non aveva idea se il licopene potesse avere efficacia nella lotta alla neoplasia, ma che certamente da qualche giorno riusciva a radersi con maggiore facilità, essendosi ridotta la tossicità cutanea a livello del viso. Il licopene possiede infatti un’attività antiossidante eccezionale, in virtù della sua struttura alchilica e del numero dei doppi legami coniugati all’interno della sua molecola. Essendo poi una sostanza lipofila, è in grado di accumularsi in grande concentrazione a livello di tessuti a elevato contenuto di lipidi come la cute.

Che tipo di studio avete condotto?

Si tratta di uno studio pilota su 28 pazienti affetti da carcinoma del colon-retto metastatico, trattati con l’anticorpo monoclonale anti-Egfr panitumumab. I pazienti sono stati distribuiti random e in doppio cieco in un braccio di trattamento con licopene o in uno di trattamento con placebo. È stata somministrata una formulazione di licopene coniugato a proteine del siero, lactolicopene, per aumentarne l’assorbimento intestinale, o un placebo contenente le stesse proteine, a partire dal giorno precedente l’inizio del primo ciclo di terapia con panitumumab e per tutta la durata del trattamento oncologico.

Che risultati avete potuto osservare?

Solo 3 pazienti su 13 nel gruppo licopene hanno sviluppato una tossicità cutanea di grado medio-severo, nel corso di 8 dei 64 cicli somministrati, laddove, nel gruppo placebo, tale tossicità si è manifestata in 10 dei 15 pazienti trattati, in 36 dei 92 cicli di panitumumab, con una riduzione assoluta quindi della tossicità cutanea medio-severa nel 41% dei pazienti e nel 46% dei cicli somministrati nel gruppo licopene rispetto al gruppo placebo. Il tempo di comparsa di una tossicità cutanea di intensità medio-severa rispetto all’inizio del trattamento è stato significativamente molto più lungo nel gruppo licopene rispetto al gruppo placebo. Nel gruppo placebo, la somministrazione di panitumumab è stata ritardata di una settimana, rispetto alla schedula prestabilita, in 4 dei 15 pazienti e in 6 dei 92 cicli somministrati in totale, a causa della tossicità cutanea. Nessun ritardo nella somministrazione del trattamento con panitumumab è stato necessario nel gruppo licopene.

Avete anche condotto analisi su marker ossidativi?

Abbiamo analizzato il contenuto plasmatico di licopene e di b-carotene, altra molecola con notevole attività antiossidante, in tempi differenti del trattamento con panitumumab nei due gruppi, insieme al contenuto plasmatico di malondialdeide, molecola che si forma nel corso della perossidazione degli acidi grassi poliinsaturi e che viene utilizzata come biomarcatore in grado di misurare la perossidazione lipidica nell’organismo. Nel gruppo placebo il trattamento con panitumumab si è dimostrato in grado di ridurre grandemente le concentrazioni di licopene e b-carotene nel plasma rispetto ai valori pre-trattamento, con un contemporaneo netto aumento della malondialdeide, a testimonianza degli intensi fenomeni ossidativi scatenati dalla terapia. La somministrazione di lactolicopene è stata in grado di aumentare la concentrazione plasmatica di licopene, di rendere meno vistoso il calo di altri antiossidanti come il b-carotene e, soprattutto, di ridurre grandemente la produzione di malondialdeide rispetto ai valori pre-trattamento, a testimonianza di una sua efficacia nel proteggere l’organismo dallo stress ossidativo e dal consumo di antiossidanti indotti dal trattamento con panitumumab.

A quali conclusioni siete giunti?

Nonostante i limiti di questo studio, soprattutto riguardanti il numero di pazienti arruolati, riteniamo che i nostri resultati abbiano chiaramente dimostrato l’efficacia del licopene nel ridurre la tossicità cutanea e lo stress ossidativo indotti dal trattamento con panitumumab.

Possibile pensare, dunque, a una sorta di estratto/integratore che possa aiutare i pazienti a superare i problemi di tossicità in corso di terapia?

Considerando l’assenza di effetti collaterali correlati all’assunzione del licopene, se si esclude la possibile intolleranza o allergia al pomodoro, essendo il licopene un composto nutraceutico piuttosto che un farmaco, riteniamo che possa essere già utilizzato nella pratica clinica nel tentativo di ridurre la tossicità cutanea da farmaci anti-Egfr, cercando delle formulazioni, come nel caso del lactolicopene, o delle modalità di assunzione, per esempio immediatamente dopo i pasti, che ne permettano il miglior assorbimento a livello intestinale. È stato nel frattempo già disegnato e in attesa di approvazione e completo finanziamento, uno studio che, arruolando un più largo numero di pazienti, sia in grado di verificare il reale impatto dell’utilizzo di un integratore contenente lactolicopene nella pratica clinica e come meglio integrare il suo utilizzo con la somministrazione di antibiotici del gruppo delle tetracicline che, per il momento, risulta essere il rimedio più frequentemente utilizzato nel ridurre la tossicità cutanea indotta da farmaci anti-Egfr.

Nicola Miglino

 

 

 

 

 

 

Un integratore a base di pomodoro si rivela promettente nel controllo dei sintomi di ipertrofia prostatica benigna (Ipb). La conferma, da uno studio coordinato dal centro di ricerca emato-oncologica (Crea) dell’Asst Spedali Civili di Brescia, pubblicato sul Journal of functional food, che ne ha indagato gli effetti in pazienti Hiv positivi con più elevato rischio di progressione di malattia, considerato il loro stato infiammatorio cronico. Ne abbiamo parlato con Luisa Imberti, responsabile del Crea di Brescia.

Migliorare la qualità dello sperma con un integratore a base di licopene. Questa la prospettiva dopo la pubblicazione dei risultati di un trial randomizzato in doppio cieco condotti da ricercatori dell’Università di Sheffield e pubblicato sull’European journal of nutrition

Dal Giappone arriva una conferma sul ruolo cardioprotettivo del pomodoro. Nella fattispecie, un gruppo di ricercatori, guidati da Naoyuky Miyasaka, del dipartimento di Ostetricia e Ginecologia alla Medical and Dental University di Tokyo, ha voluto verificare gli effetti del succo di pomodoro senza sale su alcuni parametri di rischio cardiovascolare in una popolazione della cittadina di Kuriyama, ad Hokkaido. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Food Science & Nutrition

La ricerca ha coinvolto 184 uomini e 297 donne, di età compresa tra i 21 e i 74 anni, seguiti per un anno durante il quale era loro concesso di consumare succo di pomodoro in quantità a piacimento, con il risultato finale di una media pari a 200 ml/die.

A inizio e fine studio sono stati rilevati valori di pressione sanguigna, trigliceridi, colesterolo, glicemia a digiuno (Fpg). Dei 481 partecipanti, 260 hanno anche compilato un questionario con indicatori dello stile di vita nel corso dei 12 mesi.

A un anno di distanza, in 94 soggetti valutati inizialmente come pre-ipertesi o ipertesi non trattati, la pressione sistolica era scesa da 141 a 137 mmHg e la sistolica da 83.3 a 80.9 mmHg, indipendentemente da sesso ed età. In 127 con dislipidemia non trattata, i livelli sierici di trigliceridi e c-Hdl non hanno subìto variazioni significative, al contrario del c-Ldl passato da una media di 155 a 149,9 mg/dl. Nei 62 partecipanti con ridotta tolleranza al glucosio nessun beneficio si è ottenuto in termini di variazione di Fpg.

 “Il pomodoro contiene una varietà di composti bioattivi che possono svolgere un ruolo importante nel mantenimento della salute cardiovascolare”, sottolineano gli autori. “Per esempio, il licopene è noto per la sua forte attività antiossidante e il suo consumo è stato più volte associato a minor rischio cardiovascolare grazie al miglioramento del profilo lipidico sierico piuttosto che agli effetti benefici sulla pressione sanguigna. C’è poi l’esculeoside A, una saponina in grado di sopprimere l'attività dell’enzima acil-CoA: colesterolo aciltransferasi, determinando un miglioramento della dislipidemia. Infine, il 13-oxo-Oda, un acido linoleico recentemente identificato nel succo di pomodoro e che ha mostrato effetti antidislipidemici. Il nostro studio, che per quanto noto è il primo a indagare gli effetti del succo di pomodoro su una serie di marker cardiovascolari per un periodo di 12 mesi e su un ampio range di età, ne mostra dunque la capacità di ridurre pressione sistolica e diastolica in soggetti con pre-ipertensione o ipertensione non trattata e di abbassare i livelli di c-Ldl in caso di dislipidemia non trattata. Poiché il succo di pomodoro è un prodotto economico e facilmente disponibile, potrebbe essere un intervento nutrizionale pratico e immediato per prevenire le malattie cardiovascolari nelle persone a rischio”.

 

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