Nei medullolesi vi è un rischio elevato di contrarre infezioni, in parte perché passano molto tempo in ospedale per cure e riabilitazione, in parte perché i danni subiti alterano la funzione urinaria con conseguente necessità di cateterizzazione. In aggiunta, sono spesso sotto terapia anticoagulante per prevenire eventi tromboembolici. Ciò richiede protezione delle mucose dello stomaco con inibitori di pompa protonica (Ppi) che riducono l'acidità gastrica, favorendo così la colonizzazione batterica del tratto gastrointestinale.
Nell’arco di sei anni, i ricercatori hanno reclutato 359 pazienti con infezione in corso distribuiti in tre dei principali centri britannici specializzati nell’assistenza a pazienti con danni al midollo spinale. Due i gruppi creati: il primo ha ricevuto, in aggiunta all’antibiotico, una bevanda a base di latte fermentato con L. casei Shirota (non meno di 6.5 x 109 CFU); il secondo placebo, ovvero una bevanda a base di late acidificato ma senza LcS. La prima osservazione è stata che, a 30 giorni di follow up dal termine della terapia antibiotica, nessuna differenza statisticamente significativa si è evidenziata tra i due gruppi sull’incidenza di episodi diarroici. Cambia lo scenario, invece, per un sottogruppo in terapia con PPI: riduzione netta di diarrea con il probiotico sia a 7 (19% vs 35,7%, RR: 0,53) che a 30 giorni (28% vs 52.2%, RR: 0.54) di follow-up.
Questo il commento finale degli Autori: “Il nostro è il primo studio randomizzato, controllato vs placebo e con adeguata dimensione del campione che ha valutato l'efficacia di LcS nella prevenzione della diarrea in pazienti medullolesi sotto terapia antibiotica. Sebbene non ci siano prove per un impiego generalizzato del probiotico, i risultati ne sostengono l’utilità in casi selezionati, in particolare tra coloro che sono in trattamento con PPI. L’auspicio è che si possano avviare a stretto giro studi clinici in grado di dare conferma ai nostri dati, in particolare per individuare le popolazioni più sensibili al probiotico e trasferire queste evidenze nella pratica clinica”.