Vitamina D e malattie croniche extra scheletriche: cosa si sa

22 Gennaio 2024

Negli ultimi anni, molte ricerche si sono concentrate sui rapporti tra vitamina D, malattie metaboliche dello scheletro e malattie croniche extra scheletriche. I risultati spesso contrastanti hanno portato la rivista Nutrients a progettare un numero speciale, proprio per fare il punto sulle evidenze scientifiche oggi disponibili. Ci siamo rivolti, per alcuni chiarimenti, a Salvatore Minisola, Professore onorario di Medicina interna alla "Sapienza" Università di Roma, che ha curato, insieme a Daniela Merlotti, dell’Aau Senese, l’editoriale di presentazione.

Prof. Minisola, qual era l’obiettivo del numero speciale di Nutrients?

L’obiettivo è stao di focalizzare l’attenzione sui rapporti tra vitamina D, malattie metaboliche dello scheletro e malattie croniche extra scheletriche. Tale esigenza nasce dal rilievo che in questi anni vi sono stati numerosi studi che hanno cercato di affrontare la di problematica. Purtroppo, i risultati di questi studi non sono sempre andati nella stessa direzione in rapporto a numerosi fattori, non ultimo, per esempio, la scelta sbagliata della popolazione cui somministrare la vitamina D. Tutto ciò ha generato, sia negli addetti ai lavori che in coloro che non sono particolarmente esperti del settore, un po’ di confusione e perplessità per cui è stata sentita l’esigenza di tentare di portare una minima chiarezza.

Cosa sappiamo del legame ipovitaminosi D e Covid-19?

I rapporti fra ipovitaminosi D e infezione da Covid-19 sono stati oggetto di numerose speculazioni dal 2019 in poi. Nel numero speciale vi è un lavoro dedicato a questo argomento che principalmente evidenzia come i pazienti con una più severa deficienza di vitamina D vadano incontro a un decorso clinico peggiore, che può poi ultimamente condurre anche a eventi fatali. È ampiamente documentato che i pazienti affetti da Covid-19 sono più frequentemente esposti a una deficienza o carenza di vitamina D per numerose ragioni, tra cui l’evento infettivo e infiammatorio rappresentato dalla invasione del virus. In tale contesto è bene pertanto trattare questi pazienti con vitamina D, i cui effetti vanno oltre quelli definiti classicamente come confinati solamente al distretto scheletrico.

Quali, invece, sul rischio cardiovascolare?

Nell’ambito degli effetti cosiddetti extra scheletrici, quelli sull’apparato cardiovascolare hanno ricevuto molta attenzione. È intuitivo che utilizzare una sostanza, in questo caso la vitamina D, con un costo ridotto, che, alle dosi usuali, non ha praticamente alcun effetto collaterale, rappresenterebbe dal punto di vista farmaco economico un risultato estremamente importante. Purtroppo, anche in questa condizione clinica, i risultati non sono stati pari alle aspettative, principalmente perché sono stati arruolati negli studi principali che hanno affrontato questo obiettivo, soggetti che in condizione di base non avevano una deficienza né tantomeno una carenza di vitamina D. Pertanto, viste le premesse, era difficile aspettarsi risultati eclatanti. Di fronte a uno scetticismo generale, recentemente è apparso un lavoro pubblicato su una autorevolissima rivista del settore il quale ipotizza, contrariamente agli studi del passato, un effetto benefico su alcune malattie del sistema cardiovascolare, tra cui l’infarto del miocardio. Questi ultimi risultati vanno interpretati comunque correttamente, avendo come regola generale di riferimento quella di trattare sempre la ipovitaminosi D nella stessa maniera in cui non esiteremmo a trattare la carenza di ferro.

Come riconoscere l’insufficienza e la carenza di vitamina D?

Nel caso di carenze prolungate, difficili, comunque, ai nostri giorni, possono rilevarsi le manifestazioni rachitiche nel bambino. La carenza prolungata nel tempo negli adulti è di ancor più difficile osservazione e può rilevarsi in persone che non si espongono mai alla luce solare anche nel periodo estivo. Un tipico esempio è rappresentato dai residenti in case di cura o ancor più dalle suore di clausura. Un’adeguata supplementazione di vitamina D, chiaramente, evita questo tipo di rischio. I casi di lieve insufficienza vitaminica D sono più sfumati e possono di solito passare inosservati, a meno che non si sia particolarmente esperti della materia. La certezza definitiva può in queste circostanze derivare dalla determinazione del valore della vitamina D circolante.

Quali le migliori strategie da adottare per sopperire alla carenza

Esistono attualmente numerosi preparati in commercio in grado di riportare i soggetti in una condizione di sufficienza vitaminica D. Questi preparati sono differenti tra loro per composizione, caratteristiche metaboliche e altro. Anche in questo caso, vi è un’ampia letteratura concernente ogni singolo preparato, riguardante la quantità da somministrare, le modalità di somministrazione, gli intervalli di somministrazione tanto per citare alcuni esempi. Inoltre, come in altri campi della medicina, non esistono un preparato e una dose fissa per tutte le situazioni. Ambedue possono, per esempio, variare a seconda del peso o di malattie concomitanti. In rapporto a questo, e anche al fine di valutare l’aderenza terapeutica del soggetto a cui è stata somministrata la supplementazione vitaminica D, sarebbe opportuno eseguire a distanza di tempo dall’inizio della somministrazione un dosaggio della vitamina D per valutare gli effetti terapeutici.

Nicola Miglino

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