Selenio, dalla Cina ipotesi di correlazione con prognosi Covid-19

04 Giugno 2020

Il selenio potrebbe essere strettamente legato alla prognosi dei pazienti colpiti da Covid-19. L’ipotesi viene suggerita da ricercatori dell’università del Surrey, in Gran Bretagna che hanno da poco pubblicato uno studio sull’American journal of clinical nutrition analizzando alcuni dati provenienti dall’esperienza cinese.

Il selenio è un oligoelemento essenziale ottenuto con la dieta. Pesce, carne e cereali ne sono particolarmente ricchi, ed è nota in letteratura la sua capacità di influenzare la prognosi di una serie di malattie virali negli animali e nell'uomo. Per esempio, lo stato del selenio in Hiv positivi è correlato alla progressione dell’infezione in Aids e morte per malattia.

In Cina vi è una regione vastissima, che corre da Nord-Est sino a Sud-Ovest, in cui si passa da aree con i più bassi livelli mondiali di selenio nel terreno ad altre con i livelli più alti.

Questo ovviamente incide sulla catena alimentare, considerato che il consumo di selenio della popolazione è legato alla sua presenza nell’ambiente in cui maturano le coltivazioni.

I ricercatori hanno così incrociato i dati tra 250 città e province in quella fascia geografica per verificare quale corrispondenza vi fosse tra livelli di selenio nella popolazione corrispondente e incidenza e gravità di Covid-19.

Per quanto riguarda il selenio, hanno attinto a un database di uno studio precedente in cui, per quelle regioni, erano a disposizione informazioni sul livello medio individuale raccolte attraverso l’esame del capello.

L’epidemiologia di Covid-19, invece, è stata ricostruita attraverso i dati forniti quotidianamente e in maniera analitica da Baidu, sito internet non governativo.

L’analisi è stata suddivisa in due gruppi, distinguendo la provincia dell’Hubei (la più colpita, con la sua capitale Wuhan) dal resto.

I tassi di guarigione e di letalità tra i due gruppi sono risultati inevitabilmente molto differenti: 13,2% e 3% nell’area Hubei e 40,6% e 0,6% fuori dall’Hubei

Due però i casi eclatanti nei rispettivi gruppi.

Enshi, città dell’Hubei nota per i livelli di assunzione media di selenio 6-7 volte superiori al resto di quell’area geografica, presentava tassi di guarigione da Covid-19 quasi tre volte superiori alle altre città della provincia: 36,4% vs 13,2%.

Fuori dall’Hubei, altro caso segnalato è quello della provincia dell’Heilongjiang, nel Nord-est della Cina: tra le aree a più basso consumo di selenio (0,26 mg/kg) presentava un tasso di letalità del 2,4% rispetto allo 0,6% medio delle altre province.

“I risultati mostrano un'associazione tra i tassi di guarigione riportati per Covid-19 e lo stato del selenio”, commentano i ricercatori. “Questi dati sono coerenti con l'evidenza degli effetti antivirali del selenio riportati da studi precedenti. Sono, infatti, molteplici i processi biochimici che coinvolgono il selenio e le selenoproteine e potrebbero influenzare la patogenicità virale a partire da un maggiore stress ossidativo associato a molte infezioni da virus a Rna sino a un aumento della replicazione virale”.

Tra i limii dello studio segnalati dagli Autori, i dati sullo stato del selenio nella popolazione della città, per lo più risalenti al 2011 e l’impossibilità di raccogliere dati su alcuni indicatori potenzialmente confondenti quali età e presenza di comorbilità (malattie cardiovascolari, diabete, malattie respiratorie croniche, ipertensione e cancro).

“Siamo pienamente consapevoli che l'associazione mostrata indica la necessità di ulteriori ricerche, in particolare considerate le evidenze riscontrate con altri virus. Con dati meno di popolazione e più strettamente individuali sarà possibile analizzare meglio il legame tra la gravità di Covid-19 e molti fattori chiamati in causa, incluso il selenio”.

Nicola Miglino

 

 

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