Una carenza di vitamina D aumenta il rischio di morte prematura per qualsiasi causa e, in particolare, per cancro, malattie cardiache o polmonari.
La dismenorrea primaria, definita come dolore mestruale in assenza di patologia pelvica, è una delle condizioni più comuni nelle donne in età fertile e, quando presenta sintomatologia importante, può interferire con le attività della vita quotidiana e portare ad assenteismo scolastico e lavorativo. Il trattamento farmacologico è il più efficace e comprende Fans o contraccettivi ormonali per le donne che non desiderano una gravidanza, ma ottimi riscontri clinici si hanno anche con una integrazione mirata.
Dopo l’acceso dibattito scatenato dal lavoro pubblicato a luglio sul New England journal of medicine, ecco altri due studi, questa volta ospitati dal British medical journal che mettono in discussione l’utilità della vitamina D, questa volta nella prevenzione di infezioni del tratto respiratorio, con particolare riguardo al Covid-19. Ancora una volta, però, sono gli stessi Autori a identificare alcuni limiti del protocollo, con un editoriale di commento che ribadisce l’attenzione a situazioni di ipovitaminosi in gruppi di popolazione particolarmente a rischio.
Un’integrazione di vitamina D in gravidanza riduce sensibilmente il rischio che il neonato sviluppi dermatite atopica nel primo anno di vita, in particolare nei bambini allattati al seno per più di un mese. Questi i risultati di un trial clinico randomizzato, controllato in doppio cieco, condotto da un team dell’Università di Southampton e pubblicato sul British journal of dermatology.