La vita in isolamento rischia di farci fare i conti con un’eredità pesante, anche in termini di nuove abitudini alimentari e relative ricadute. A rivelarlo, un’indagine realizzata da Villa Miralago (centro per la cura dei disturbi del comportamento alimentare) e dalla School of management (Som) del Politecnico di Milano, attraverso un questionario online per comprendere il ruolo che il cibo e l’alimentazione in generale stanno avendo durante questo periodo di isolamento.
Non basta sapere quali cibi mangiamo, ma, a protezione delle cellule cerebrali, è fondamentale capire come li combiniamo tra loro. Questa potrebbe essere una delle chiavi di volta in grado di prevenire l’insorgenza di demenza secondo uno studio appena pubblicato su Neurology.
Il sonno è essenziale per mantenere la salute immunitaria, ripristinare l'energia e il consolidamento della memoria e oggi conosciamo molti dei processi coinvolti nella sua regolazione, inclusi il ruolo giocato dall'assunzione di diversi nutrienti. La relazione tra assunzione di nutrienti specifici con la dieta e il sonno ha acquisito una notevole attenzione scientifica negli ultimi anni.
La dieta esercita un’influenza profonda sulla composizione del microbiota intestinale con ricadute sui processi metabolici, ormonali e neurologici. Eppure, ancora oggi non c’è consenso sulla definizione di “microbiota sano”, un ambito che, dunque, deve rappresentare una delle principali sfide della ricerca nel futuro più prossimo. A queste conclusioni è giunto un gruppo di ricercatori della George Washington University e del National institute of standards and technology, nel Maryland, a seguito di una revisione della letteratura i cui risultati sono stati da poco pubblicati su Nutrition reviews.
“Sino a non molto tempo fa il microbiota umano era un target totalmente sconosciuto nella ricerca di possibili strategie diagnostiche e terapeutiche in diversi ambiti clinici”, sottolineano gli Autori. “Ora, invece, ci si è resi conto di quanto sia in aumento la prevalenza di malattie legate a disbiosi, benché ancora molto sia da chiarire sulla composizione di un microbiota sano”.
Ecco allora che i ricercatori hanno scandagliato un centinaio di articoli su PubMed e Google Scholar concentrandosi sul ruolo delle fibre, considerate un vero carburante del microbiota intestinale. La loro azione, infatti, determina la produzione di acidi grassi a catena corta utilizzati dalle cellule del colon per facilitare l’assorbimento del cibo e ridurre i tempi del transito intestinale.
Di contro, l’analisi dei dati disponibili evidenzia come le proteine favoriscano un metabolismo microbico con effetto opposto, ovvero con produzione di metaboliti che tendono a far ristagnare il cibo al livello intestinale con rischio di conseguenze pericolose.
In generale, emerge che una dieta diversificata e sana sono i principali indicatori di un microbiota di qualità.
“Variazioni nella composizione del microbiota intestinale possono avere importanti conseguenze sulla salute” dice Leigh Frame, responsabile del programma di medicina interata alla GW School of medicine and health science. “Studi di coorte che mettono a confronto profili di microbiota di persone sane e non, rivelano una stretta correlazione tra diversi stadi patologici e condizioni di disbiosi. Che questa sia causa o conseguenza della malattia spesso non è così chiaro. Il microbioma è una vera e propria impronta digitale. Ognuno ha il suo, compresi i gemelli monozigoti. In generale possiamo dire che una tassonomia eterogenea e variegata in quantità e qualità rappresenta un buon indicatore di salute. Esiste una relazione stretta tra microbioma e ospite sul fronte dei processi metabolici, ormonali, neurologici e immunologici. Quanto più impariamo su cibo e microbiota, tanto più sapremo su come si influenzino a vicenda e potremo predisporre interventi di prevenzione e trattamento delle patologie”. (n.m.)