Selenio e rischio diabete, nuove evidenze dallo studio Molisani

06 Luglio 2021

Da tempo i ricercatori si interrogano sui rischi di sovradosaggio del selenio, correlati in particolare alla comparsa di diabete di tipo 2. Un contributo importante giunge da un’analisi dello studio Molisani che da tempo tiene monitorata un’ampia coorte di popolazione nella regione Molise. Una ricerca che contribuisce ad ampliare le evidenze scientifiche per una definizione sempre più adeguata e aggiornata delle dosi sicure di assunzione di selenio.

Ne abbiamo parlato con Marco Vinceti, docente di Igiene, Sanità pubblica ed Epidemiologia all’Università di Modena e Reggio Emilia e professore aggiunto presso il dipartimento di Epidemiologia alla scuola di Sanità pubblica dell’Università di Boston, nonché prima firma dello studio pubblicato su Nutrition, metabolism & cardiovascular diseases.

Prof. Vinceti, quali sono le premesse da cui è scaturito il vostro studio?

La ricerca ha preso origine da due motivazioni: la prima, il forte interesse che oggi gravita attorno a un metalloide ed elemento in traccia, il selenio, del quale gli studi epidemiologici hanno messo in luce sia l’importanza nutrizionale che le proprietà tossicologiche, suggerendo di conseguenza l’importanza di una accurata individuazione della dose sicura di assunzione, per evitare rischi sia di carenza che di sovradosaggio, questi ultimi associati da diversi studi a un aumentato rischio di diabete. La seconda motivazione nasce dalla disponibilità di dati sempre più accurati ed estesi nel tempo che provengono da questo studio di coorte, Molisani, coordinato da Licia Iacovello, igienista dell’Università dell’Insubria di Varese e condotto da un gruppo di ricercatori afferente all’Irccs Neuromed di Pozzili, con la fondamentale collaborazione della popolazione del Molise. A oggi, le uniche evidenze disponibili nel nostro Paese sull’associazione tra assunzione di selenio e diabete con un disegno longitudinale cioè di coorte sono queste fornite dallo studio Molisani e quelle generate da due studi sulla coorte varesina Ordet, seguita dagli epidemiologi dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano.

Com’è stata condotta la ricerca?

Lo studio ha potuto contare su un periodo di oltre 8 anni di follow-up, cioè di sorveglianza sanitaria continuativa, di una coorte composta da oltre 21 mila residenti nella regione Molise e non affetti da diabete al reclutamento nello studio. Abbiamo potuto stimare l’assunzione media di selenio per via alimentare al momento del reclutamento nello studio, cioè tra il 2005 e il 2010, e seguire successivamente tali partecipanti per valutare, mediante i ricoveri ospedalieri, se l’incidenza di diabete fosse associata alla precedente assunzione di selenio e, in tal caso, con quali modalità. Abbiamo poi utilizzato per l’analisi dei risultati procedure statistiche idonee alla “modellizzazione” flessibile, cioè anche curvilinea, dell’associazione tra selenio e diabete, basate sulla cosiddetta spline regression analysis. Ciò al fine di rispondere non solo al quesito che ha originato lo studio sulla base dei risultati del trial statunitense Npc di 15 anni fa, la possibilità cioè che una eccessiva assunzione di selenio aumenti il rischio di diabete, ma anche di identificare con precisione i livelli di assunzione ai quali tale associazione possa eventualmente insorgere.

Che risultati avete potuto osservare?

Nell’analisi condotta sull’intera popolazione abbiamo potuto osservare come un’assunzione di selenio sino al valore medio caratterizzante questa popolazione, ovvero 60 microgrammi al giorno, non fosse associata a un incremento del rischio di diabete di tipo 2. Tale associazione è invece apparsa a valori di 80-100 microgrammi e oltre di assunzione giornaliera, che rappresentano peraltro un valore superiore a quello raccomandato come adeguato sotto il profilo nutrizionale dalle agenzie di sicurezza alimentare e dagli enti di sanità pubblica. I risultati dello studio suggeriscono anche possibili differenze sulla base dell’età e del sesso, ma le analisi sui singoli sottogruppi non sono state caratterizzate da precisione statistica sufficiente per poter fornire indicazioni attendibili di tali possibili interazioni.

Perché il selenio può essere pericoloso per i diabetici?

Lo studio non si è riferito ai soggetti diabetici, nei quali non sappiamo esattamente se e quanto il selenio possa avere effetti specifici, essendo ciò demandato all’esecuzione di studi sperimentali ad hoc. Lo studio invece si aggiunge alla ormai ampia quantità di indagini specificatamente finalizzate a esaminare gli eventuali effetti esercitati dall’assunzione di selenio sul rischio futuro di diabete nei soggetti non-diabetici, le quali hanno generalmente suggerito come il rischio sia maggiore nei soggetti che hanno consumato per lungo tempo quantità relativamente elevate di selenio.

Infine, quali raccomandazioni suggerire?

Le raccomandazioni sono quelle che dovrebbero caratterizzare in senso lato tutte le problematiche, nutrizionali e non, di interesse sanitario: effettuare altre indagini osservazionali e preferibilmente prospettiche sull’associazione tra selenio e diabete, e riferirsi unicamente alle evidenze fornite dalla letteratura biomedica e alle pubblicazioni e opinioni più aggiornate emesse dalle agenzie di sicurezza alimentare, quali per noi europei l’Efsa, e dagli enti e società scientifiche di sanità pubblica e nutrizione umana. Il selenio, così come molti altri oligoelementi essenziali sotto il profilo nutrizionale, possiede una fascia di assunzione alimentare raccomandata e sicura che deve essere rispettata, anche tenendo conto di età e condizioni particolari come lo stato di gravidanza e l’allattamento, al fine di evitare rischi sia di carenza che di tossicità. Il nostro studio si aggiunge ai numerosi pubblicati da ricercatori di altri Paesi in questi ultimi anni, contribuendo ad ampliare con dati prospettici nella popolazione italiana le evidenze scientifiche a disposizione per una definizione sempre più adeguata e aggiornata delle dosi sicure di assunzione di selenio.

Nicola Miglino

 

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