Nuovi dati su ruolo protettivo del caffè nel Parkinson

10 Giugno 2022

Il caffè potrebbe rappresentare un presidio in grado non solo di prevenire il Parkinson, ma anche di ritardarne l’età di esordio e, probabilmente, di indurre una più lenta evoluzione della sintomatologia motoria. Queste le conclusioni di uno studio appena pubblicato su Parkinson’s & Related Disorders, coordinato da Giovanni Defazio, docente di Neurologia all’Università di Cagliari, e che ha visto la collaborazione delle Università di Bari, Catania e Verona, oltre all’Albert Einstein College of medicine di New York, al dipartimento di neurologia dell’Asst Pavia-Voghera e all’Irccs Neuromed di Pozzilli.

La ricerca, che ha coinvolto circa 700 pazienti dei quali sono stati incrociati i dati su alcune abitudini di vita, età di insorgenza della malattia e gravità dei sintomi, ha mostrato anche l’effetto protettivo di una moderata attività fisica quotidiana precedente all’esordio della malattia, con un miglioramento soprattutto sulla sintomatologia non motoria rappresentata, per esempio, da dolore, incontinenza, ipotensione ortostatica, stipsi, disturbi del sonno, affaticamento, ansia e depressione.

“Anche un altro studio italiano pubblicato due anni fa su Neurobiology of disease aveva individuato, tra 11 fattori di rischio e/o protettivi potenzialmente in grado di influenzare lo sviluppo della malattia di Parkinson, la caffeina e l'attività fisica come capaci di migliorarne la progressione se presenti prima dell’esordio dei sintomi”, sottolinea una nota a commento della Società italiana di neurologia, che da tempo ha messo sotto osservazione i fattori di rischio e/o di protezione del Parkinson. “Un autore che ha studiato approfonditamente gli effetti della caffeina su questa malattia è Ronald Postuma, dell’Università di Montreal, secondo il quale il caffè non è solo un fattore protettivo sullo sviluppo, ma agisce anche come farmaco potenzialmente in grado di ritardarne l’evoluzione una volta che i sintomi si sono manifestati”.

Così commenta Giovanni Defazio; “Un importante risultato di questa serie di studi è che la distribuzione dei possibili fattori di rischio individuati non è uniforme. Ciò supporta la possibilità, spesso ventilata negli ultimi anni, che esistano diverse malattie di Parkinson con eziologie ed evoluzioni probabilmente differenti, ognuna delle quali risponde a specifici fattori di rischio e/o di protezione. Per quanto riguarda il caffè, siamo ancora nell’ambito delle forti probabilità. Dalle nostre ricerche emerge una plausibilità biologica evidente dal punto di vista epidemiologico secondo cui alcuni fattori, come per esempio i pesticidi, siano a rischio, mentre altri, come l’attività fisica o il caffè, risultino protettivi, ma sembrano esserlo anche il thè, la vitamina E o i Fans. Va ancora capito come indirizzare l’azione di ognuno di questi fattori: già altri autori hanno visto, per esempio, come non tutti i dosaggi di caffeina siano efficaci allo stesso modo”. (n.m.)

 

 

 

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