Olio di cannabis e ca polmonare: il caso clinico che interroga gli scienziati

21 Ottobre 2021

Donna, 80 anni, forte fumatrice. Già sofferente di Bpco, artrosi e ipertesa, riceve una diagnosi di cancro del polmone non a piccole cellule. Una massa di 41 mm localizzata, senza segni di diffusione. Il trattamento proposto è quello indicato in questi casi: chirurgia, chemioterapia e radioterapia. Lei, però, rifiuta le cure e, a quel, punto non rimane ai medici che monitorare la situazione periodicamente tramite Tac. Siamo a giugno 2018. Tempo poco più di due anni e mezzo e, a febbraio 2021, gli esami indicano una riduzione della massa del 76%: da 41 a 10 mm.

Cosa può essere successo, si chiedono i medici?

Il caso clinico è stato da poco pubblicato su Bmj case reports e racconta di come la donna non abbia fatto nulla di diverso dalla data della diagnosi rispetto alle sue abitudini di vita, se non aver assunto, proprio da agosto 2018, 0,5 g di olio di canapa 2-3 volte al giorno, una strategia adottata di suo pugno e che già aveva aiutato suo marito a far fronte in passato agli effetti indesiderati della radioterapia.

Il “fornitore” dell’olio, non meglio specificato nell’articolo, aveva correttamente informato la signora circa la composizione: delta-9-tetraidrocannabinolo (Thc) al 19,5%, cannabidiolo al 20% e acido tetraidrocannabinolico (Thca) al 24%, con la raccomandazione di non assumerlo in concomitanza con cibi o bevande calde e di far attenzione agli effetti psicotropi.

In realtà la donna ha dichiarato solo una lieve perdita dell’appetito e di non avere mutato nulla nel suo abituale stile di vita, a partire dal pacchetto di sigarette fumato quotidianamente.

“Si tratta, ovviamente, di un caso clinico che non può certo portarci a indicazioni pratiche”, sottolineano gli Autori che hanno descritto quanto osservato sulla rivista. “Oltretutto, in una situazione del genere, nulla si può dire su quale dei tre cannabinoidi, se non la combinazione, possano eventualmente essere responsabili della regressione del tumore: la correlazione c’è ma non siamo in grado di affermare con certezza il nesso causa-effetto. L’uso medicinale della cannabis ha una lunga storia, essendo stato introdotto per la prima volta nel 1842 in virtù dei suoi effetti analgesici, sedativi, antinfiammatori, antispastici e anticonvulsivanti e oggi i cannabinoidi sono ampiamente utilizzati nell’ambito delle cure palliative. Chimicamente sono simili agli endocannabonodi presenti nel nostro organismo, coinvolti nei meccanismi di segnale tra cellule, comprese quelle tumorali. Molti studi sono in corso sull’impiego dei cannabinoidi nella cura del cancro, ma mancano dati solidi a supporto di tale uso. L’auspicio è che si intensifichino le ricerche per chiarire meccanismi d’azione, vie di somministrazione, dosaggi, effetti sui vari tipi di tumori e sicurezza”.

Nicola Miglino

 

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