Ecco i consigli e i chiarimenti dell'Associazione italiana gastroenterologi ed endoscopisti digestivi ospedalieri (Aigo), per voce di Massimo Bellini, presidente eletto e direttore della Uoc Gastroenterologia dell’Ao Universitaria Pisana, sulla dieta a basso contenuto di FODMAPs (Lfm), di cui spesso si sente parlare.
Presidente, quali sono i dati di diffusione della sindrome dell’intestino irritabile?
Si tratta di un disturbo molto comune, con una prevalenza di poco inferiore al 5% in Italia. Come tutti i disturbi funzionali colpisce le donne in proporzione doppia rispetto agli uomini. In questi anni si è sviluppata una notevole attenzione per questa patologia e quindi è senz’altro più frequentemente diagnosticata, con conseguente attenzione al regime alimentare più appropriato.
Che cos’è la dieta a basso contenuto di FODMAPs?
Si tratta di un regime dietetico che riduce l’assunzione di alcuni alimenti che possono fermentare a livello del colon e attrarre acqua a livello dell’intestino tenue distendendolo. In un contesto di aumentata sensibilità viscerale, quale è l’intestino irritabile, la distensione dell’intestino tenue e il gas prodotto dalla fermentazione operata dal microbiota intestinale possono, infatti, scatenare o aggravarne i sintomi provocando appunto dolore, diarrea, meteorismo, flatulenza.
Come si articola?
Prevede la riduzione dell’assunzione di alimenti contenenti monosaccaridi, come il fruttosio, disaccaridi, come il lattosio, galattoligosaccaridi, contenuti nei legumi, fruttooligosaccaridi, contenuti nei cereali e polioli, come dolcificanti quali il sorbitolo. In pratica, ai pazienti viene chiesto di ridurre l’assunzione di diversi alimenti quali mele, pere, pesche, susine, albicocche, ciliegie, finocchi, carciofi, peperoni, asparagi, cavolfiore, miele, pane e pasta, per poi reintrodurli dopo averne verificato il reale effetto sulle abitudini intestinali.
Quali sono le evidenze scientifiche a supporto?
È dimostrato che la dieta Lfd è superiore ai consigli dietetici tradizionali e alla dieta priva di glutine nel trattare i sintomi dell’intestino irritabile. Anche il nostro gruppo Aigo ha prodotto lavori che hanno dimostrato l’efficacia di questa dieta nel medio-lungo periodo su tutti i principali sintomi digestivi e sulla qualità di vita.
Quali consigli, dunque, a clinici e pazienti?
Come sempre, vige un messaggio imperativo: no al fai da te, a maggior ragione nelle diete di eliminazione, specie per i soggetti a rischio di disturbi della condotta alimentare, o per le persone sane. Il paziente deve affidarsi a un esperto di nutrizione che abbia una profonda conoscenza di questo tipo di dieta. Questo è fondamentale per evitare i pericoli di un inadeguato apporto nutrizionale e per poter eseguire un’appropriata fase di reintroduzione che è la parte più delicata della dieta, testando, uno alla volta i diversi gruppi di alimenti eliminati e poi reintrodotti per stabilire quali siano veramente i cibi capaci di scatenare la sintomatologia in quel singolo paziente e quindi cucirgli addosso la dieta che dovrà continuare nel lungo periodo, anche per tutta la vita.
Nicola Miglino