Test nutrigenetici: panel di esperti elabora criteri guida nella gestione

19 Maggio 2021

Quattro mosse per orientarsi nella giungla dei test genetici alimentari. È quanto propone un gruppo di esperti che sul Journal of the academy of nutrition and dietetics ha pubblicato un vero e proprio algoritmo decisionale con l’obiettivo di aiutare il professionista della nutrizione da una parte a formarsi nella maniera più completa possibile e, dall’altra, a supportare il paziente lungo il percorso diagnostico e di trattamento.

“Il professionista spesso si trova che fare con test genetici per la nutrizione personalizzata nella sua pratica clinica” sottolineano gli Autori. “Sebbene in letteratura esista una considerevole mole di dati sul rapporto dieta/Dna, poco si sa sull'uso della nutrigenomica nella pratica clinica. Eppure, è frequente vedere pazienti che si presentano al professionista con test effettuati in autonomia, chiedendone un’interpretazione. Purtroppo, però, non vi sono linee-guida a riguardo”.

Ecco così che i ricercatori si sono messi al lavoro per elaborare una sorta di “mappa di orientamento”. Sei esperti di nutrigenomica hanno dapprima sviluppato una bozza sulla base delle attuali conoscenze, rivista poi da 12 professionisti in rappresentanza di sei continenti (Africa, Asia, Australia, Europa, Nord America e Sud America), ognuno dei quali con ampia esperienza relativa all'impiego della nutrigenomica nella pratica clinica.

L’algoritmo finale proposto si compone di quattro fasi: formazione degli operatori sanitari; valutazione e consenso informato del paziente; esecuzione del test e valutazione; follow-up.

Per quanto riguarda la fase 1, è fondamentale che il professionista acquisisca nozioni chiave di genetica e che venga formato sia su aspetti tecnici legati ai test sia sulle implicazioni medico-legali connesse, per esempio sul fronte consenso informato e gestione dei dati.

Sul secondo step si sottolinea come tutti i pazienti debbano essere sottoposti a screening per identificare potenziali controindicazioni all’esame. Va considerato anche il rapporto costo-beneficio, tenendo conto delle ragioni che spingono il paziente al test, delle sue disponibilità economiche e della storia clinica familiare: se tali elementi non giustificano l’esame, è bene che il professionista sconsigli di procedere.

Nella fase tre è importante che, una volta eseguito il test, i risultati vengano sempre letti in relazione a valutazioni di tipo antropometrico, biochimico, clinico e nutrizionale. Per esempio, se l’esame indica un rischio elevato di intolleranza al lattosio ma il paziente non mostra segni o sintomi di disturbi gastrointestinali, potrebbe non essere necessaria una dieta che limiti l'assunzione di prodotti contenenti lattosio. A fine visita, poi, professionista e paziente dovrebbero identificare insieme 1-3 obiettivi specifici, misurabili e raggiungibili su cui concentrarsi.

Rimane, infine, il monitoraggio nel tempo. “L’obiettivo degli appuntamenti di follow-up deve essere quello di misurare i progressi del paziente, sia sul fronte dietetico che, eventualmente, rispetto ad alcuni marker di riferimento, nonché di chiarire eventuali dubbi, rivedere priorità e obiettivi prestabiliti”.

Nicola Miglino

 

 

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