Policistosi ovarica, il ruolo degli antiossidanti

13 Giugno 2022

La sindrome dell'ovaio policistico (Pcos) è la causa più comune di infertilità nelle donne in età riproduttiva. L'aumento dei livelli di specie reattive dell'ossigeno e la ridotta capacità antiossidante nelle pazienti, possono portare a disordini metabolici e danneggiare i tessuti ovarici, con conseguente comparsa di sintomi correlati. Il trattamento con antiossidanti consente risultati soddisfacenti, tanto che diverse ricerche ne hanno dimostrato la capacità di migliorare l'ambiente ovarico, promuovere la maturazione follicolare e aumentare la quantità di ovociti, regolando il metabolismo di lipidi e glucosio, nonché la funzione delle cellule endoteliali vascolari, attenuando così l'adiposità e riducendo il tasso di insorgenza di complicanze croniche.

Il tema è stato oggetto di una recente review sull’International journal of women health. Ne abbiamo parlato con Alessandro Genazzani, responsabile del centro di Endocrinologia ginecologica presso la Clinica ostetrica ginecologica dell'Università di Modena.

Prof. Genazzani, che ruolo gioca lo stress ossidativo nella fisiopatologia della Pcos?

Nella nostra biologia lo stress ossidativo è un evento che si realizza ogni qual volta si ha un disequilibrio tra la formazione di specie reattive dell’ossigeno, o Ros, e le capacità difensive antiossidanti del nostro organismo che sono primariamente rappresentate dal glutatione. La Pcos presenta in alta percentuale sovrappeso o obesità e questi sono indicatori indiretti di un disagio metabolico, che si accompagna sempre a un eccesso di ossidazione. La iperglicemia, i lipidi alti sono fattori inducenti un eccesso di ossidazione.

Quali sono i principali antiossidanti oggi in uso nella pratica clinica?

Le sostanze antiossidanti utili sono molte, a partire dalle vitamine come quella E e C. Quelle, però, utilizzate con grande effetto positivo sono la L-arginina, la N-acetil cisteina e l’acido alfa lipoico.

Acido lipoico: di che tipo di molecola si tratta?

Viene normalmente prodotto nelle nostre cellule da parte dei mitocondri, grazie a un enzima, la lipoico sintasi, o Lasy, e rappresenta un pilastro fondamentale non solo del controllo dei fenomeni di ossidazione ma anche per il controllo della insulino-sensibilità. Essendo una molecola che cede radicali -Sh, detti tioli, con un complesso meccanismo biochimico la presenza dell’acido lipoico permette, dentro alla cellula, non solo la sintesi di ossido nitrico, ma anche di riattivare il glutatione, che è il più potente antiossidante endogeno, in modo che sia di nuovo disponibile per eliminare altri Ros. Inoltre, l’acido lipoico è in grado, indipendentemente dalla via su cui agiscono gli inositoli, di attivare le Glut4 e di far sì che le loro vescicole si localizzino sulla membrana cellulare permettendo l’ingresso del glucosio extracellulare. Con questa azione, l’acido lipoico contribuisce al controllo della insulino-sensibilità: si tratta, dunque, di una molecola di grande importanza nella nostra biologia.

Quali dati sono disponibili, in termini di efficacia e sicurezza, per il suo impiego clinico in quest’ambito?

La letteratura descrive l’acido lipoico come una sostanza sicura, utile quale elemento di integrazione, specie quando se ne ha carenza. Questo può accadere nel caso della familiarità al diabete. La malattia diabetica, o la sua predisposizione familiare, favoriscono una minore produzione della Lasy nei mitocondri, per cui ne deriva una minore sintesi e/o disponibilità di acido lipoico. Questo viene, quindi, a pesare negativamente sul controllo non solo della sensibilità all’insulina ma anche della pressione arteriosa in quanto si riduce le sintesi di ossido nitrico, il più potente fattore vaso-dilatante endogeno. Peraltro, la malattia diabetica predispone anche a una ridotta espressione della epimerasi, enzima chiave per il corretto equilibrio tra myo-inositolo e D-chiro inositolo. La alterata presenza dell’enzima, favorisce la mancanza di quest’ultimo, sbilanciando il controllo dell’azione dell’insulina a favore dell’insulino-resistenza. È ben evidente che avere una predisposizione familiare al diabete rende passibili di alterazioni non solo metaboliche ma anche cardiovascolari.

Quali, ancora, le aree di ricerca da esplorare?

Sono molte. Di fatto, non conosciamo ancora tutto riguardo al controllo biologico delle funzioni cellulari. La scienza ha comunque verificato che medesime vie enzimatiche o medesimi eventi biochimici sono coinvolti in più azioni biologiche, anche molto diverse tra loro. Questo rende ragione del fatto che la complessità biologica è fatta dalla integrazione di simili modalità di azione integrate in vie funzionali diverse. Un esempio di questo è stato proprio dimostrato per l’acido lipoico. Si è visto, infatti, che è un potente epatoprotettore, proprio per la sua azione antiossidante con cui controlla e riduce le transaminasi epatiche e permette una migliore dagradazione epatica dell’insulina, favorendo il controllo della iperinsulinemia compensatoria che si realizza con l’insorgenza della insulino-resistenza, tipica della Pcos.

Che evidenze abbiamo su altri antiossidanti?

Come ho già detto sono tante le sostanze con azione antiossidante e nessuna è meno rilevante dell’altra. Di fatto, sono tutte importanti e tutte devono essere presenti per mantenere in equilibrio il complesso sistema biologico del nostro organismo. Oltre alle vitamine E e C, ci sono la L-arginina e la N-acetil cisteina che svolgono ruoli chiave nel meccanismo di riattivazione del glutatione. Tra l’altro, va detto che, proprio grazie a questo meccanismo, si controlla e si mantiene nei limiti della norma la pressione arteriosa e il medesimo meccanismo è responsabile del buon controllo dello sviluppo e della maturazione dell’oocitarie.

Qual è oggi il corretto approccio nel trattamento di una paziente con Pcos?

Bisogna saper valutare bene chi si ha davanti: l’anamnesi è importante per individuare i fattori che possono avere permesso lo sviluppo della sindrome. Tra questi, si deve sempre verificare se la paziente è nata prima del tempo oppure se è nata sottopeso o con uno sviluppo fetale non adeguato. Questi eventi inducono un meccanismo di difesa che si fonda sull’attivare la resistenza all’azione dell’insulina, predisponendo per il tempo futuro a molti problemi, tra cui l’insorgenza della Pcos in epoca peripuberale/puberale, associata a sovrappeso e obesità. È un complesso meccanismo epigenetico, di adeguamento, cioè, della genetica alla situazione contingente avversa. Se, poi, queste ragazze hanno pure una familiarità al diabete, ovvero se i genitori o i nonni hanno una delle due forme di diabete, allora l’alterato controllo metabolico e la resistenza alla insulina saranno certamente più marcati e presenti per tutta la vita. Questo determina, entro l’adolescenza, l’insorgenza del quadro della Pcos, con le stigmate classiche dell’iperandrogenismo, la oligo o anovulazion e la presenza di cisti follicolari a livello ovarico come segno di alterata capacità regolatoria ormonale. Questo, ovviamente, crea il disagio di cicli mestruali diradati e con scarse ovulazioni che sono alla base della difficoltà di concepimento di queste ragazze.

Che ruolo gioca, infine, l’alimentazione?

In generale, bisogna suggerire uno stile di vita adeguato: ridurre al minimo i carboidrati, specie a cena, favorire l’apporto proteico e di verdure di stagione, fare attività fisica almeno quattro volte a settimana per circa 40-45 minuti. L’uso di antiossidanti è quindi utile come fattore aggiuntivo ma non esclusivo per migliorare il disagio del quadro di Pcos. La vera cura è sempre un corretto stile di vita per avere un controllo del metabolismo. Va detto, purtroppo, che nell’ultimo secolo abbiamo peggiorato la nostra alimentazione. È questo che ha portato la lenta e costante crescita della percentuale di popolazione in sovrappeso o obesa, favorendo le malattie metaboliche, ma anche quelle cardiovascolari. La nostra biologia da centinaia di migliaia di anni è sempre stata abituata al poco cibo e a non avere quasi mai zuccheri: l’uomo di Neanderthal raccoglieva qualche bacca, ma doveva cacciare animali per sopravvivere, inseguendoli per giorni, a piedi. Forse mangiava due volte alla settimana e, per gran parte, proteine. Cibi ricchi di energia sono arrivati con la scoperta dell’America: la patata, il pomodoro, la canna da zucchero. La nostra biologia non è ancora riuscita a evolversi e adattarsi a un così rapido cambiamento dello stile di vita e di disponibilità di cibo. Dovremmo tutti riflettere su questo e imparare a mangiare meglio.

Nicola Miglino

Top
Questo sito utilizza i cookies, che consentono di ottimizzarne le prestazioni e di offrire una migliore esperienza all'utente. More details…