Sindrome dell’intestino irritabile: low Fodmap e vitamina D strategia vincente

21 Aprile 2021

Una dieta a basso contenuto in Fodmap, ovvero carboidrati cosiddetti fermentabili (oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli), migliora i sintomi dei pazienti con Sindrome dell’intestino irritabile (Ibs), influenzando diversi fattori biochimici coinvolti in questo disturbo, incluso lo stato di salute della barriera intestinale e i livelli di vitamina D.  Queste le conclusioni di uno studio da poco pubblicato su Nutrients testo proprio a valutare la relazione tra livelli di vitamina D, misurata come 25(OH)D, la permeabilità intestinale e l'integrità della barriera gastrointestinale in pazienti con Ibs diarroica sottoposti a dieta a basso contenuto in Fodmap per 12 settimane. Ne abbiamo parlato con Francesco Russo, coordinatore del laboratorio di Fisiopatologia della nutrizione dell’Irccs “Saverio de Bellis” di Castellana Grotte (Bari) che ha promosso la ricerca.

Dr. Russo, che ruolo gioca la Low Fodmap diet in caso di Ibs?

La maggior parte dei pazienti con Ibs si lamenta del fatto che alcuni cibi siano responsabili della sintomatologia gastrointestinale. Ciò è possibile in virtù della loro capacità di trattenere acqua e di fermentare a livello del colon. Complessivamente, questi cibi sono raccolti nell’acronimo Fodmaps che sta per Fermentable oligo-di-mono-saccharides and polyols. Sono, in pratica, carboidrati capaci di causare una serie di disturbi propri dell’Ibs, soprattutto nella sua variante a prevalenza diarroica, quali, per esempio, meteorismo, gonfiore addominale e, ovviamente, diarrea. La loro eliminazione dalla dieta comporta una evidente riduzione della sintomatologia, addirittura nel 75% dei pazienti. In tale contesto, il ruolo della barriera intestinale, con le sue interazioni con il microbiota intestinale, è fondamentale per il mantenimento dello stato di salute così come per l’insorgenza o il perpetuarsi di diverse patologie, sia funzionali che organiche. I meccanismi molecolari che regolano in particolare la permeabilità intestinale in risposta ai nutrienti sono ancora poco definiti, ma sicuramente la dieta può condizionarne il funzionamento attraverso diversi meccanismi, come, per esempio, modulazione del microbiota e rilascio di peptidi Gi.

In questi pazienti, quali sono generalmente i livelli di vitamina D?

La principale forma circolante di vitamina D è la 25-idrossivitamina D. Non esiste un livello ottimale di 25(OH)D unanimemente accettato. Tuttavia, un comitato nordamericano di esperti ha dichiarato che i livelli sierici devono superare i 20 ng/ml per essere adeguati a soddisfare i bisogni del 97,5% della popolazione. In linea con questa conclusione, una revisione approfondita dei livelli di 25(OH)D in una popolazione mediterranea ha recentemente stabilito che un cut-off pari a 20 ng/mL sembrerebbe riflettere al meglio la normale fisiologia anche delle nostre aree geografiche. Una percentuale considerevole della popolazione con Ibs può essere effettivamente carente di vitamina D, così come riportato in un trial clinico pubblicato nel 2020. A ogni modo, nel nostro studio, considerando complessivamente il gruppo dei pazienti con Ibs, i livelli di 25(OH)D non erano differenti da quelli riscontrati nella popolazione generale.

Che tipo di studio avete condotto e con quali obiettivi?

La vitamina D è coinvolta non solo nel metabolismo delle ossa, ma anche nel buon funzionamento del sistema immunitario e nel controllo dell’infiammazione. Diversi studi scientifici hanno recentemente evidenziato come ridotti livelli sierici si associno anche a maggiore frequenza e intensità di disturbi gastrointestinali, tra cui l’Ibs. Inoltre, è ormai acquisito che la vitamina D abbia un ruolo nel modulare le funzioni della barriera intestinale. Dato il legame esistente tra le alterazioni di tale barriera e la dieta, la potenziale azione benefica di una dieta a basso contenuto in Fodmap ha destato molto interesse, non solo nel controllo dei sintomi dei pazienti con Ibs, ma anche sull’infiammazione e, più in generale, sullo stato di salute della barriera intestinale. La nostra ricerca è stata intrapresa per investigare la relazione tra livelli di vitamina D, misurata come 25(OH)D, la permeabilità intestinale e l'integrità della barriera gastrointestinale in pazienti con Ibs diarroica sottoposti a dieta a basso contenuto in Fodmap per 12 settimane. Abbiamo, pertanto, confrontato i sintomi gastrointestinali e i succitati marcatori in pazienti con livelli di vitamina D inferiori a 20 ng/mL rispetto a quelli con livelli normali, prima e dopo 12 settimane di dieta. È stata presa in considerazione anche l’eventuale presenza di flogosi e disbiosi intestinale mediante il dosaggio, rispettivamente, di interleuchine 6 e 8 e di indolo e scatolo urinari.

Che risultati avete potuto osservare?

I pazienti che all’inizio dello studio avevano bassi valori di vitamina D, non solo soffrivano di sintomi più gravi, ma presentavano anche una peggiore condizione della barriera intestinale, disbiosi fermentativa nel piccolo intestino e aumentate concentrazioni ematiche di marcatori di infiammazione quali interleuchine e Lps, rispetto ai pazienti con livelli normali. Inoltre, è stata riscontrata una correlazione negativa tra livelli di vitamina D e sintomi Ibs: a più bassi livelli di vitamina D corrispondeva un profilo sintomatologico più grave. Dopo tre mesi di dieta a basso contenuto in Fodmap, si assisteva non solo a un aumento significativo dei livelli circolanti di vitamina D in entrambi i sottogruppi, ma anche a un significativo miglioramento della funzione di barriera, soprattutto tra chi che avevano bassi livelli di vitamina D all’inizio dello studio.

Alla luce di quanto emerso, che indicazioni cliniche se ne possono ricavare e quanto è importante un’eventuale integrazione di vitamina D in caso di necessità?

L’uso di questo ormone come opzione terapeutica per la gestione dell'Ibs ha destato molto interesse e alcuni studi di gruppi di oltreoceano, e con essi anche il nostro, supportano il concetto che il trattamento dell’Ibs, almeno nella sua variante a prevalenza diarroica, possa beneficiare di alte dosi orali di vitamina D. In verità, tutti i dati attualmente disponibili non danno ancora risposte esaustive, ma pongono, al contrario, nuove domande: la carenza causa l’Ibs o piuttosto è quest’ultima la responsabile del deficit vitaminico? Probabilmente, sono convolti altri fattori ancora sconosciuti come determinanti per entrambi i problemi. Quello che possiamo dire è che una dieta a basso contenuto in Fodmap migliora i sintomi dei pazienti con Ibs, influenzando diversi fattori biochimici coinvolti in questo disturbo, incluso lo stato di salute della barriera intestinale e i livelli di vitamina D. Si conferma così l’utilità di questo approccio nutrizionale nella gestione nel lungo periodo dell’Ibs con diarrea ed è sempre più evidente come l’Ibs non sia più una malattia “funzionale” ma, anzi, presenti tutta una serie di sottili alterazioni biochimiche e strutturali che solo ora si inizia a comprendere.

Nicola Miglino

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