La vitamina D non previene il rischio di diabete di tipo 2

13 Giugno 2019

Un’integrazione con vitamina D non aiuta a prevenire il diabete di tipo 2 nei soggetti a rischio. Questi i risultati dello studio D2d (Vitamin D and type 2 diabetes study), condotto dal National institute of diabetes and digestive and kidney diseases afferente agli Nih, appena pubblicati sul New England journal of medicine e presentati al 79.mo congresso Ada (American diabetes association) a San Francisco.

Si tratta del più ampio trial finora condotto sull’argomento, avendo coinvolto 2.400 soggetti in pre-diabete seguiti per due anni e mezzo.

“Diversi studi osservazionali” sottolineano gli autori “avevano suggerito un’associazione tra bassi livelli di vitamina D e rischio di sviluppare diabete di tipo 2 così come altri, di dimensioni però ridotte, indicavano un possibile effetto benefico della vitamina D nel migliorare la funzionalità delle cellule beta del pancreas. Sulle potenzialità, invece, di una supplementazione nel prevenire o ritardare la comparsa di malattia mancavano però dati a supporto”.

I partecipanti allo studio D2d sono stati randomizzati a un trattamento con 4.000 Ui/die di vitamina D3 (colecalciferolo) o placebo. A tutti sono stati misurati i livelli di vitamina D nel sangue a inizio studio e nell’80% dei casi si sono rivelati soddisfacenti. Ogni tre/sei mesi venivano sottoposti, nel corso dei due anni e mezzo, a indagine per verificare se si si fosse sviluppato diabete.

Alla fine dello studio, 293 dei 1.211 (24,2%) nel braccio vitamina D avevano sviluppato la malattia contro i 323 dei 1.212 (26,7%) del gruppo placebo, una differenza risultata non statisticamente significativa.

“Il campione, oltre che essere robusto da un punto di vista numerico, era anche qualitativamente rappresentativo per fasce d’età, sesso, Body mass index ed etnia, il che rafforza ulteriormente la significatività del dato rispetto alla popolazione a rischio”, afferma Anastassios G. Pittas, del Tufts medical center di Boston e principale autore dello studio.

Negli Stati Uniti, oltre il 50 % della popolazione adulta fa uso di integratori e il consumo di vitamina D è cresciuto notevolmente negli ultimi anni.

“Perciò abbiamo monitorato anche la sicurezza di dosaggi pari a mila 4.000 Ui/die, superiori alle 600-800 normalmente raccomandate. Nessuna differenza, da questo punto di vista, è emersa rispetto al placebo per ciò che riguarda calcemia o rischi di calcolosi renale”.

 

 

 

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