Procreazione assistita, il successo dipende anche dalla dieta

01 Dicembre 2021

Occhio al peso corporeo per la salute riproduttiva della donna. Il monito giunge da uno studio pubblicato sulla rivista Reproductive BioMedicine On line dal team di ricerca di GeneraLife, gruppo europeo di 30 cliniche specializzate in medicina della riproduzione.

“Innanzitutto, il lavoro ha accertato un calo delle chance di gravidanza, dovuto a un aumento del rischio di aborto, dopo il trasferimento di embrioni euploidi, ovvero cromosomicamente sani, nelle donne con un indice di massa corporea superiore a 25, quindi in sovrappeso, ma non obese”, spiega Gemma Fabozzi, primo autore del paper, embriologa clinica e nutrizionista del centro GeneraLife di Milano.

“Un primo risultato importante che possiamo trarre dalla ricerca, dunque, è aver messo in luce la rilevanza del Bmi nel tasso di natalità, anche quando la paziente è in semplice sovrappeso, non obesa”.

Entrando nello specifico, lo studio rileva che l’incremento del Bmi è associato all’aumento del rischio di errori cromosomici negli embrioni (aneuploidie), che riducono le probabilità di gravidanza.

“Si tratta di un’associazione ovviamente subordinata all’età della donna, che è il fattore preponderante nell’insorgenza delle aneuploidie”, prosegue Fabozzi. “Nonostante ciò, le donne in sovrappeso mostrano un lieve aumento nel rischio di errori cromosomici negli embrioni a qualsiasi età materna. Il messaggio-chiave di questo studio è, quindi, che sarebbe utile analizzare il profilo metabolico della paziente anche quando si è già ottenuta una blastocisti euploide da trasferire, in un ciclo di procreazione medicalmente assistita”.

Così commenta Francesca Bongioanni, ginecologa e responsabile del centro GeneraLife di Milano e Torino: “Dato il valore prezioso di questo embrione per una coppia infertile, e a fronte della difficoltà di ottenerlo in età materna avanzata nelle donne con problemi di sovrappeso, potrebbe essere clinicamente rilevante intervenire con un regime nutrizionale ad hoc prima del trasferimento in utero. Nelle donne fertili invece, lo studio pone l’accento sull’importanza della prevenzione e del mantenimento di una dieta adeguata per ridurre la severità di disturbi di natura anche riproduttiva. È importante, comunque, che chi affronta un percorso di procreazione assistita venga preso in carico anche dal punto di vista nutrizionale”.

A ulteriore conferma, un nuovo studio presentato dalla stessa Fabozzi al recente congresso della Società italiana di fertilità e sterilità-Medicina della riproduzione (Sifes e Mr) di Riccione, secondo cui il Bmi, rappresenta uno dei fattori che più influenzano la buona riuscita dei trattamenti per l'infertilità, anche quando si ricorre all'ovodonazione.

"I risultati confermano che in un programma di ovodonazione con transfer di blastocisti, l’obesità nelle donne riceventi si associa a un maggior rischio di aborto”, dice la nutrizionista, che è anche docente del master in Biologia della nutrizione per la riproduzione umana della Sapienza Università di Roma. “Quindi, ricorrere alla fecondazione eterologa sembra non mettere al riparo dai danni che l'obesità provoca al nostro sistema riproduttivo".

L’indice di massa corporea, concludono gli autori, è un marker grossolano, ma sicuramente rappresenta un importante campanello di allarme. “Ricerche future, finalizzate a identificare parametri più precisi dell’aspetto nutrizionale-metabolico, come, per esempio, studiare la localizzazione del tessuto adiposo in eccesso, sono sicuramente auspicabili anche nel campo della riproduzione umana”. (n.m.)

 

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