Farmaco o integratore? Il dilemma della vitamina D in Uk

20 Ottobre 2020

Più che un integratore nutrizionale, un farmaco e, come tale, con responsabilità prescrittive e gestionali tali da renderne difficile l’impiego nei soggetti più fragili quali gli anziani nelle case di cura. Questo il risultato di un’interessante indagine condotta in Inghilterra, pubblicata su Bmj nutrition prevention & health, nata con il tentativo di comprendere come mai nelle residenze per anziani inglesi si somministri raramente vitamina D, nonostante in quella fascia di popolazione sia fortemente raccomandata.

Un’inchiesta pilota, in cui sono state condotte 13 interviste a diverse figure professionali afferenti a strutture residenziali di due aree a Sud-Est dell’Inghilterra: medici di famiglia, gestori e personale di case di cura, dirigenti di sanità pubblica, un dietista, un geriatra e un ortopedico.

L’obiettivo era di comprendere, per ciascuna figura professionale, il percepito rispetto all’impiego di vitamina D nelle strutture per anziani.

Dai risultati emerge innanzitutto come nessuno degli intervistati fosse a conoscenza di strutture nell’area che somministravano regolarmente integratori di Vitamina D ai residenti.

Il personale delle case di cura, peraltro, ritiene la questione di pertinenza dei medici di Medicina generale: troppi rischi e responsabilità nel caso, da parte loro, di suggerimenti all’impiego di integratori.

Pur essendo considerati alimenti, gli integratori di vitamina D vengono vissuti come medicinali e prescritti dai medici, secondo le linee guida Nhs (National healt system) solo in seguito a caduta o diagnosi di carenza piuttosto che in caso di osteoporosi e non a scopo preventivo o di mantenimento.

A parte il dietista, nessuno era consapevole del fatto che i residenti delle case di cura per anziani potrebbero beneficiare di un’integrazione di vitamina D senza un esame di conferma, a sua volta più costoso di un anno di fornitura di integratori.

Insomma, il tutto risulta demandato alle scelte individuali dei singoli soggetti, creando forti discriminazioni, viste le condizioni di fragilità psico-fisiche dei residenti.

Così concludono gli Autori: “Gli anziani nelle case di cura sono particolarmente a rischio di carenza di vitamina D ma hanno una capacità limitata di prendere decisioni sulla loro salute e sugli stili di vita. Questo studio evidenzia che esiste un gap tra indicazioni di sanità pubblica, che demandano la scelta ai medici solo in determinate condizioni, e realtà, che vede invece i clinici protagonisti assoluti: i professionisti coinvolti nella cura degli anziani all’interno delle strutture residenziali percepiscono la vitamina D come farmaco piuttosto che come alimento. Questo si traduce in scarso impiego, maggiore fragilità e maggior rischio di cadute. La vitamina D è essenziale non soltanto per la salute delle ossa, ma gioca un ruolo su più fronti, da quello immunitario, a quello cardiovascolare, neurologico, respiratorio e tumorale. Recentemente, è stata anche correlata a suscettibilità e gravità di Covid-19, benché non vi siano ancora evidenze comprovate. Noi riteniamo vada posta molta attenzione all’impiego di vitamina D nelle strutture residenziali per anziani, anche attraverso lo sviluppo di soluzioni che ne facilitino la somministrazione, magari tramite alimenti fortificati: un modo perché il personale si possa sentire più tranquillo anche nell’assistenza. Bisogna cambiare il paradigma e spostare il vissuto della vitamina D da presidio farmacologico a pilastro nutrizionale di salute pubblica”.

In Italia, è bene precisare, la nota 96 prevede la rimborsabilità dei farmaci a base di vitamina D per le persone istituzionalizzate. Su questo fronte, Aifa ha da poco pubblicato i dati su consumi e spesa dei farmaci a base di vitamina D dei primi nove mesi di applicazione della Nota 96 (novembre 2019/luglio 2020) che segnalano una diminuzione dei consumi e della spesa di oltre il 30% rispetto ai periodi precedenti, sia in termini di confezioni erogate sia di spesa sostenuta dal Servizio sanitario nazionale, con un risparmio medio mensile di circa 9,8 milioni di euro.

Nicola Miglino

 

 

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