Inflammaging, invecchiare bene protetti dai probiotici

25 Settembre 2019

“La nutrizione ha un ruolo centrale nell’attività della risposta immunitaria. Un semplice pasto infatti induce una risposta adattiva chiamata infiammazione post-prandiale e l’eccesso di nutrienti attiva uno stato infiammatorio in vari organi tra cui grasso, fegato, pancreas, muscoli e cervello, il che non fa altro che aumentare la velocità della loro usura e quindi dell'invecchiamento dell'individuo”.

Così Maurizio Muscaritoli, Presidente della Società italiana di nutrizione clinica (Sinuc) che ha da poco tenuto il suo congresso nazionale ad Ancona, a proposito dell’inflammaging, ovvero quel processo di cui tanto si discute oggi e che mette in relazione l’invecchiamento di organi e tessuti con processi infiammatori cronici.

“Il centro del problema risiederebbe nel nostro sistema immunitario” sottolinea Paolo Orlandoni, presidente del congresso Sinuc 2019. “Produce citochine pro-infiammatorie i cui livelli rimangono costanti in età avanzata determinando un aumento dei valori basali dell’infiammazione, l’inflammaging, appunto. Allo stesso tempo anche il nostro sistema immunitario invecchia con gli anni e diventa meno efficiente. Questo non è un fenomeno negativo in assoluto. Nuove interpretazioni della immunosenescenza parlano di un rimodellamento e un adattamento a nuove condizioni. Una analisi filogenetica sul microbiota di un gruppo di italiani tra i 22 e i 109 anni ha dimostrato che con il passare degli anni diminuiscono sia la diversità batterica che la quantità. Nei soggetti estremamente longevi, di età superiore a 105 anni, sono per esempio emerse specie sub-dominanti come Akkermansia, Bifidobacterium e Christensenellancee. Una diversità inaspettata che potrebbe conferire un qualche tipo di protezione”.

Con l’età, infatti, il microbiota intestinale cambia. Possono incidere difficoltà di masticazione, alterazioni del gusto, riduzione dell’appetito e della peristalsi, disturbi del transito. Così come un minor consumo di frutta e verdura, piuttosto che una dieta povera di fibre inducono una riorganizzazione del microbiota in senso negativo, con il rischio di provocare disbiosi e innescare un loop pro-infiammatorio.

 “Nel trattamento della disbiosi si sta affermando l’uso di probiotici, microrganismi vivi che conferiscono un beneficio per la salute dell’ospite” sottolinea Orlandoni.  “Questi hanno moltissime azioni: dalla produzione di composti antimicrobici alla riduzione del Ph del lume intestinale, sino al miglioramento delle funzioni di barriera che porta alla diminuzione della permeabilità intestinale e alla modulazione del sistema immunitario con produzione di beta-difensine. Lactobacillum plantarum, per esempio, ha mostrato effetti sulla riduzione dell’infiammazione con un rapporto positivo a favore delle citochine antinfiammatorie. Mentre Lactobacillus Buchneri aumenta la biodisponibilità di alcuni preziosi micronutrienti e il Bifidus animalis ha mostrato un effetto antiossidante di contrasto all’azione dei radicali liberi. Quello che ancora non è noto è la composizione di probiotici da usare, la frequenza e il dosaggio utile a ottenere questa protezione. Ma comprendere i meccanismi alla base del decadimento legato all’età allo scopo di ridurne gli effetti è una delle sfide più attuali”.

 

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