Sul fronte immunitario, una review presentata al convegno da Dayong Wu, ricercatore presso il Jean Mayer human nutrition research center on aging della Tufts University, ha messo in evidenza le capacità del tè verde e delle catechine in esso contenute di supportare l’organismo nel contrastare una varietà di agenti patogeni diminuendone la capacità di infettare l'ospite e aiutando il sistema immunitario ad attivarsi. Gli stessi composti, poi, si sono dimostrati utili nelle malattie autoimmuni, sopprimendo l'attacco infiammatorio indotto dagli autoantigeni e favorendo la riparazione dei danni tissutali.
Il tè può offrire vantaggi significativi anche sulle funzioni cognitive. “Ci sono prove evidenti che il tè e i suoi componenti sono utili in condizioni di stress, agendo su aspetti quali attenzione e prontezza", dice Louise Dye, docente di Nutrizione e comportamento all'Università di Leeds. "Con questi effetti, il tè rappresenta una bevanda ideale durante periodi di stress particolarmente elevato”. Su questo fronte, la ricercatrice ha fornito prove da studi randomizzati e controllati che mostrano gli effetti benefici di una dose elevata di L-teanina, combinata con basse dosi caffeina, su attenzione e prontezza misurate con test specifici stardardizzati a livello internazionale.
Presentando una revisione sistematica su tè e malattie neurodegenerative, Jonathan Hodgson, docente presso l'Institute for Nutrition research all’Edith Cowan University, in Australia, ha sottolineato la presenza di “prove crescenti del fatto che anche solo 1 o 2 tazze di tè al giorno potrebbero ridurre significativamente il rischio di demenza vascolare e, potenzialmente, della malattia di Alzheimer”. Dati recenti, provenienti da studi di coorte prospettici a lungo termine, sembrano indicare come il consumo fino a 5-6 tazze al giorno, sia in grado di ridurre il rischio di sviluppare demenza. Il beneficio massimo si avrebbe con 2-4 tazze/die e solo sulla demenza di origine vascolare.
Per quanto riguarda il cancro, ci sono prove che i flavonoidi del tè possano ridurre il rischio grazie ad azioni antiossidanti, anti-angiogenesi e antinfiammatorie, oltre che per gli effetti benefici sul microbiota intestinale. Le proprietà antitumorali dei flavonoidi sono state evidenziate in diversi in studi sperimentali e i dati indicano che il consumo di tè è in grado di ridurre il rischio di cancro di vie biliari, mammella, endometrio, fegato e cavo orale. "Sebbene siano necessarie ulteriori ricerche per determinare le dosi efficaci, quello che sicuramente emerge è che un consumo maggiore di tè può ridurre il rischio di alcune forme tumorali”, sottolinea Raul Zamora-Ros, direttore dell'Unità di Nutrizione e Cancro presso iI Bellvitge biomedical research institute di Barcellona.
Sulla base di un'ampia casistica, i ricercatori hanno poi evidenziato come due tazze di tè non zuccherato al giorno abbiano il potenziale per mitigare il rischio e la progressione della malattia cardiometabolica negli adulti. Da un'ampia review sul tema, emerge che per ogni tazza di tè giornaliera consumata, si registra un rischio medio inferiore dell'1,5% di mortalità per tutte le cause, del 4% di mortalità per malattie cardiovascolari, del 2% di eventi cardiovascolari di qualsiasi genere e del 4% di ictus.
A concludere i lavori, Mario Feruzzi, capo della sezione Nutrizione dello sviluppo presso il dipartimento di Pediatria dell'Università dell'Arkansas che ha lamentato l’assenza di raccomandazioni chiare sull’impiego del tè nelle linee guida di nutrizione americane, nonostante le evidenze disponibili. “Con i tè bianchi, verdi, neri e oolong abbiamo a che fare con migliaia di anni di uso tradizionale e 60-70 di studio scientifico sistematico che, nell’ultimo ventennio, è cresciuto fino a portarci, ormai, a conclusioni definitive”.
Il Sixth international scientific symposium on tea and human health è stato promosso da: American cancer society, American institute for cancer research, American nutrition association, American herbal products association, Osher center for integrative medicine at the Harvard medical school e Linus Pauling Institute presso l’Oregon state university.
Nicola Miglino