"La nostra analisi mostra che una cattiva alimentazione, l'ipertensione e l’ipercolestrolemia sono i tre principali fattori di rischio per infarto e angina", sottolinea l'autore dello studio, Xinyao Liu, della Central south university di Changsha, Cina. "Questo vale sia per i paesi sviluppati sia per quelli in via di sviluppo. Avremmo oltre sei milioni di morti in meno all’anno riducendo il consumo di alimenti trasformati, bevande zuccherate, grassi saturi e trans, sale e zuccheri aggiunti e aumentando, nel contempo, l'assunzione di pesce, frutta, verdura, noci e cereali integrali. La dieta ideale giornaliera dovrebbe prevedere da 200 a 300 mg di acidi grassi omega 3, 200-300 grammi di frutta, 290-430 grammi di verdura, 16-25 grammi di noci e 100-150 grammi di cereali integrali ".
Lo studio ha analizzato i dati forniti dal Global burden of disease study 2017, condotto in 195 paesi tra il 1990 e il 2017. Nel 2017, 126,5 milioni di persone al mondo soffrivano di cardiopatia ischemica con 10,6 milioni di nuove diagnosi nell’anno. A causa di questa condizione, si sono registrate 8,9 milioni di morti nel 2017, il 16% di tutti i decessi, rispetto al 12,6% del 1990.
I ricercatori hanno calcolato l'impatto di 11 variabili sul rischio di morte per cardiopatia ischemica: dieta, ipertensione, c-Ldl, iperglicemia, fumo, Bmi elevato, inquinamento atmosferico, sedentarietà, danno renale, esposizione al piombo e alcol.
Nello specifico, hanno stimato la percentuale di decessi evitabili eliminando quel fattore di rischio.
È così emerso che il 69,2% delle morti per cardiopatia ischemica nel mondo potrebbe essere prevenuto con diete più sane, il 54,4% se la pressione arteriosa sistolica si mantenesse intorno ai 110–115 mmHg, il 41,9% con c-Ldl tra 0,7 e 1,3 mmol / L, il 25,5% con glicemia a digiuno tra 4,8 e 5,4 mmol / L, mentre con lo stop al fumo i decessi si ridurrebbero di circa un quinto.
Il fumo si è classificato al quarto posto tra le cause dei decessi per cardiopatia ischemica negli uomini e solo al settimo nelle donne. Vale la pena ricordare, su questo fronte, che tra il 1990 e il 2017, la prevalenza globale di fumatori è diminuita del 28,4% negli uomini e del 34,4% nelle donne.
Un Bmi elevato è risultato il quinto fattore di rischio di mortalità nelle donne e il sesto negli uomini. Per le donne, il 18,3% dei decessi per cardiopatia ischemica potrebbe essere con un Bmi stabile tra 20 e 25 kg/m2. In entrambi i sessi, l’incidenza di inquinamento atmosferico ed esposizione al piombo aumentava con il grado di sottosviluppo.
Il commento finale di Liu: “La cardiopatia ischemica è ampiamente prevenibile con comportamenti sani e le persone dovrebbero migliorare le proprie abitudini. Inoltre, sono necessarie misura di politica sanitaria commisurate alle necessità locali. Per esempio, programmi di riduzione del consumo di sale produrrebbero i maggiori benefici aree in cui l’impiego è elevato, quali Cina o Asia centrale".
Nicola Miglino