Recentemente sono state riportate due metanalisi di studi osservazionali longitudinali con risultati quasi identici: un rischio inferiore del 38% di sviluppare diabete di tipo 2 nel terzile più alto di 25OHD rispetto a quello più basso.
Negli ultimi decenni, studi epidemiologici e funzionali hanno iniziato a rivelare un ruolo chiave della vitamina D nella patogenesi del diabete di tipo 1 e 2. Agendo attraverso il suo recettore, la vitamina D regola la secrezione di insulina nelle isole pancreatiche e la sensibilità all’insulina in più organi metabolici periferici.
Studi in vitro e modelli animali hanno dimostrato che la vitamina D può migliorare l’omeostasi del glucosio favorendo la secrezione di insulina, riducendo l’infiammazione e l’autoimmunità, preservando la massa delle cellule beta e sensibilizzando l’azione dell’insulina. Al contrario, la carenza di vitamina D si è dimostrata rilevante nell’aumento dell’incidenza di patologia.
Mentre gli studi clinici che hanno testato l’ipotesi che la vitamina D migliori la glicemia nel diabete di tipo 2 hanno mostrato risultati contrastanti, i sottogruppi e le metanalisi supportano l’idea che l’aumento dei livelli sierici possa ridurre la progressione dal prediabete alla malattia conclamata.
In un’analisi post-hoc di sottogruppi condotta utilizzando i dati di uno studio progettato per le fratture, l’integrazione combinata di vitamina D3 (700 UI/giorno) e carbonato di calcio (500 mg/giorno) ha prevenuto l’aumento della resistenza all’insulina (Homa-Ir) e glicemia a digiuno nelle persone con glicemia a digiuno bassa, ma non negli individui con glicemia a digiuno normale al basale, suggerendo che la vitamina D sia in grado di apportare benefici solo agli individui ad alto rischio di diabete.
Tre studi randomizzati che hanno testato dosaggi diversi e frequenze di assunzione differenti, hanno dato risultati coerenti: tra i partecipanti assegnati al gruppo vitamina D che hanno mantenuto un livello sierico medio di almeno 125 nmol/L (≥50 ng/mL) rispetto a 50-74 nmol/L (20-29 ng/mL) durante al follow-up, il colecalciferolo ha ridotto il rischio di diabete del 76%, con una riduzione del rischio assoluto a 3 anni del 18,1%.
In un lavoro pubblicato lo scorso anno, un totale di 2.423 partecipanti che soddisfacevano almeno due dei tre criteri glicemici per il prediabete (livello di glucosio plasmatico a digiuno, da 100 a 125 mg per decilitro; livello di glucosio plasmatico 2 ore dopo un carico di glucosio orale di 75 g, da 140 a 199 mg per decilitro; livello di emoglobina glicata, dal 5,7 al 6,4%) sono stati sottoposti a randomizzazione per ricevere 4.000 UI al giorno di vitamina D3 o placebo, indipendentemente dal livello sierico basale di 25-idrossivitamina D. Dopo 24 mesi il livello sierico medio di 25-idrossivitamina D nel gruppo vitamina D era di 54,3 ng/ml, rispetto a 28,8 ng/ml nel gruppo placebo. Dopo un follow-up mediano di 2,5 anni, l'esito primario del diabete si è verificato in 293 partecipanti nel gruppo vitamina D e in 323 nel gruppo placebo, riduzione, comunque, non statisticamente significativa.
Silvia Ambrogio
Bibliografia
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