Deficit di 25(OH)D, studio: la dieta conta poco. Ecco i fattori di rischio

16 Marzo 2022

La quota di vitamina D introdotta con la dieta gioca un ruolo insignificante nella regolazione dei livelli sierici di 25(OH)D (calcidiolo). Determinanti sono altri fattori di rischio e, ancor più importante, la loro combinazione. Questo quanto emerge da un lavoro pubblicato di recente su Nutrients. A parlarcene, Massimo Cirillo, docente di Nefrologia all’Università Federico II di Napoli e coordinatore della ricerca.

Prof. Cirillo, ci descrive, intanto, l'obiettivo del vostro studio?

La vitamina D, nella sua forma di precursore inattivo non-idrossilato, deriva in maggioranza dalla sintesi endogena nella cute e in minoranza dalla dieta. Nel fegato, questi precursori subiscono una prima idrossilazione e una parziale attivazione che li trasforma in 25-idrossi vitamina D o calcidiolo, cioè nella molecola che comunemente viene dosata nel siero per valutare un eventuale stato di deficit. Lo studio voleva verificare l’esistenza e la forza delle associazioni di variabili fortemente influenzate dagli stili di vita con le concentrazioni sieriche del calcidiolo e, in particolare, con la frequenza di sue basse concentrazioni.

Come è stata condotta l’analisi?
Si tratta di un tipico esempio di studio osservazionale su popolazione.  Grazie a finanziamenti del ministero dell’Università e Ricerca, della Pfizer foundation e della Instrumentation laboratory, il gruppo coordinato da Licia Iacoviello, direttrice del dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione all’Irccs Neuromed di Pozzilli, conduce dal 2005 uno studio osservazionale, il Moli-sani, su un campione di popolazione generale composto da oltre 24 mila adulti residenti nel Molise. Con lo scopo di approfondire le indagini su metaboliti della vitamina D e parametri a essa correlati, e col supporto di un finanziamento dell’Agenzia spaziale italiana, è stato possibile effettuare test di laboratorio aggiuntivi in un sotto-campione randomizzato composto da mille individui. Caratteristica quasi unica rispetto a studi simili nel campo era il fatto che i test di laboratorio aggiuntivi erano effettuati utilizzando gli standard internazionali più aggiornati.

Che tipo di risultati avete potuto osservare?
I dati confermano che l’introito di vitamina D con la dieta ha una influenza trascurabile sui valori di calcidiolo nel sangue.  Le variabili significativamente correlate ai livelli di calcidiolo sierico erano, in ordine di forza, l’esposizione al sole, l’uso di supplementi di vitamina D, la funzione renale valutata come stima della filtrazione glomerulare, l’obesità centrale, l’età, la pressione sistolica, l’attività fisica nel tempo libero, la colesterolemia, il fumo di sigaretta e il consumo abituale di alcool. L’analisi statistica successiva si è concentrata esclusivamente su cinque fattori di rischio, selezionati perché correlati a bassi valori di calcidiolo e potenzialmente correggibili: assenza di attività fisica, obesità centrale, ipercolesterolemia, fumo, e nessun introito di alcool. Questa analisi indicava che, controllando per esposizione al sole e tutte le altre variabili potenzialmente confondenti, la prevalenza di bassa concentrazione di calcidiolo nel sangue aumentava linearmente col numero dei fattori di rischio presenti: da un minimo di 16% nelle persone che non avevano nessun fattore di rischio ad un massimo di 46% nelle persone con quattro o cinque fattori di rischio.

Quali conclusioni se ne possono trarre?

La complessità del metabolismo della vitamina D e la molteplicità dei sistemi potenzialmente coinvolti in questo metabolismo rende ragione della molteplicità dei fattori correlati ai livelli di calcidiolo nel sangue.  In una popolazione italiana a dieta libera, la quota di vitamina D introdotta con la dieta gioca un ruolo insignificante nella regolazione dei livelli sierici di calcidiolo. Determinanti significativi sono altri fattori di rischio e, ancora più importante, è la combinazione tra questi determinanti. Il profilo associato a basse concentrazioni di calcidiolo appare composto da caratteristiche di per sé potenzialmente dannose per la salute quali assenza di attività fisica, obesità centrale, ipercolesterolemia, e fumo. Pertanto, le associazioni riportate da altri studi tra calcidiolo e morbilità o mortalità potrebbero essere spiegate dalla influenza sfavorevole sulla salute di questi fattori di rischio piuttosto che dalla carenza di calcidiolo di per sé. Da ultimo, sembra utile segnalare che lo studio riporta per la prima volta una relazione negativa tra ipercolesterolemia e calcidiolo, associazione forse meritevole di ulteriori approfondimenti considerando che la sintesi endogena di vitamina D ha vari collegamenti proprio col metabolismo del colesterolo.  Lo studio ha ancora vari altri dati da analizzare e quindi la storia potrebbe non essere finita qui.

Nicola Miglino

 

 

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