Vitamina D, deficit associato ad alterazioni glicemiche negli ipertesi

16 Febbraio 2022

 

Correggere un deficit di vitamina D negli ipertesi potrebbe aiutare a individuare precocemente pazienti con alterazioni glicemiche e a stratificare meglio il rischio cardiovascolare. Queste le conclusioni di uno studio clinico condotto dal dipartimento di medicina dell’Università di Udine e pubblicato di recente su Nutrients. Ne abbiamo parlato con Cristiana Catena, direttore della scuola di specializzazione in Medicina interna dell’Università di Udine e coordinatrice della ricerca.

P.ssa Catena, da quali premesse ha origine il vostro studio?

Il diabete mellito di tipo 2 e l’alterata glicemia a digiuno sono noti fattori di rischio cardiovascolare. Anche nei soggetti con normale glicemia a digiuno, però, un’elevata risposta glicemica a un carico orale di glucosio (Ogtt, ndr) si associa a maggior rischio di eventi cardiovascolari gravi. In soggetti ipertesi non diabetici, infatti, incrementi anche lievi della glicemia sia a digiuno che dopo Ogtt possono contribuire a danni cardiaci e vascolari subclinici come, per esempio, la disfunzione diastolica e la rigidità carotidea. Quindi è importante identificare tempestivamente fattori che possono alterare il metabolismo del glucosio. Oltre quelli ben noti che possono far aumentare la glicemia, studi recenti hanno rilevato che la carenza di vitamina D potrebbe influenzare il metabolismo glucidico. Il deficit di vitamina D è molto comune: evidenze recenti suggeriscono un’associazione con le malattie cardiovascolari e, in soggetti con ipertensione arteriosa, anche con un danno cardiaco subclinico.

Che tipo di ricerca avete condotto?

In uno studio trasversale abbiamo incluso 187 pazienti con ipertensione arteriosa seguiti dal Centro ipertensione della Clinica medica di Udine: età 50±13 anni; 106 uomini, 81 donne. Sono stati esclusi grandi obesi, diabetici, soggetti assumenti supplementi di vitamina D e con insufficienza renale grave. La vitamina D è stata dosata nella forma 25OHD, e sono state definite: deficienza, se 25OHD ≤ 20 ng/ml; insufficienza se tra 21 e 29 ng/ml; normalità se 25OHD > 30 ng/ml. Come da linee guida. Abbiamo considerato anche l’esposizione solare e sono state misurate 25OHD, glicemia e insulinemia a digiuno e dopo 30, 60, 90, 120, 180 minuti post carico di 75 gr di glucosio.

Quali risultati sono emersi?

Il 33% dei soggetti è risultato con deficienza di vitamina D, il 24% con insufficienza, e il 57% con livelli normali. I pazienti con 25OHD sotto il limite di normalità avevano maggiori livelli di glicemia a digiuno e a 120 minuti dall’Ogtt. Quelli con ridotta tolleranza ai carboidrati avevano livelli di 25OHD significativamente inferiori rispetto a quanti evidenziavano normale risposta glicemica, considerando assieme i soggetti con deficienza o insufficienza di 25OHD. I livelli di 25OHD erano inversamente correlati alla glicemia sia a digiuno che dopo Ogtt. All’analisi multivariata i livelli di glicemia a 120 minuti di Ogtt erano inversamente associati ai livelli di 25OHD in maniera indipendente, ovvero anche includendo nell’analisi età, Bmi, alcol, insulinemia, calcemia, Pth, stagionalità. Analoghi risultati sono stati osservati analizzando la curva della glicemia dopo Ogtt, che rappresenta l’aumento globale della glicemia.

Quali conclusioni e considerazioni se ne possono trarre?

Noi abbiamo riscontrato che i livelli di glicemia sia a digiuno che dopo carico glucidico sono significativamente maggiori in pazienti con deficienza/insufficienza di 25OHD rispetto a chi possiede livelli normali, in pazienti con ipertensione arteriosa ma non diabetici, indipendentemente da molti fattori che possono influenzare la glicemia o i livelli di vitamina D. Esistono in letteratura studi che hanno ricercato la stessa associazione, trovando risultati talora simili talora discrepanti dai nostri, ma va considerato che tali studi differivano dal nostro sia per il tipo di soggetti studiati sia per le variabili confondenti incluse nelle analisi. Spesso, peraltro, l’associazione inversa tra vitamina D e glicemia perdeva l’indipendenza includendo il Bmi. I risultati di questo studio hanno importanti implicazioni cliniche: la misura della 25OHD in tutti i pazienti con ipertensione arteriosa potrebbe aiutare a individuare precocemente pazienti con alterazioni glicemiche e a stratificare meglio il rischio cardiovascolare. Saranno necessari studi di intervento con supplementi di vitamina D per stabilire la rilevanza di tali risultati nella pratica clinica.

Nicola Miglino

 

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