Così il microbiota intestinale influenza la risposta a Covid-19

24 Febbraio 2021

Varietà e quantità dei batteri intestinali possono incidere sulla gravità di Covid-19 e sulla risposta del sistema immunitario all'infezione, secondo una ricerca pubblicata di recente su Gut. Non solo: una situazione di disbiosi può avere anche ricadute nel cosiddetto post-Covid, ovvero quella sindrome che persiste nei pazienti colpiti dalla malattia anche dopo l’eliminazione del virus.

Pur caratterizzandosi principalmente come una malattia respiratoria, Covid-19 ha sin da subito catturato l’attenzione degli scienziati per i suoi risvolti legati all’interazione tra infezione e intestino, uno dei più importanti baluardi immunitari dell'organismo. Da qui la curiosità degli scienziati nell’andare a verificare se il microbiota intestinale possa influenzare la risposta immunitaria all'infezione.

A tale scopo, i ricercatori hanno prelevato campioni di sangue e feci e valutato le cartelle cliniche di 100 pazienti ospedalizzati con infezione da Covid-19 confermata in laboratorio tra febbraio e maggio 2020 e da 78 persone sane che stavano prendendo parte a uno studio sul microbiota prima della pandemia. I livelli di gravità del Covid-19 sono stati così classificati: lieve (assenza di polmonite ai raggi X); moderato (polmonite con febbre e sintomi delle vie respiratorie); grave (difficili condizioni respiratorie); critico (necessità di ventilazione meccanica o cure intensive).

Per caratterizzare il microbiota intestinale, 41 dei pazienti Covid hanno fornito più campioni di feci durante il ricovero e 27 di loro anche fino a 30 giorni dopo l'eliminazione del virus. Il totale di 274 campioni ha messo in evidenza come la composizione del microbiota intestinale risultasse significativamente differente tra i pazienti con e senza malattia, indipendentemente dal fatto che fossero stati trattati con farmaci, antibiotici compresi. I pazienti Covid presentavano quantità decisamente più abbondanti di Ruminococcus gnavus, Ruminococcus torques e Bacteroides dorei rispetto ai soggetti sani, mentre erano deficitari per quanto riguarda specie quali Bifidobacterium adolescentis, Faecalibacterium prausnitzii ed Eubacterium rectale, note per la loro azione sul sistema immunitario. Inoltre, basse quantità di F. prausnitzii e Bifidobacterium bifidum sono risultate correlate alla gravità dell'infezione. Altro aspetto interessante: il numero di questi batteri benefici è rimasto basso anche nei campioni raccolti fino a 30 giorni dopo la guarigione.

L'analisi dei campioni ematici ha poi evidenziato come lo squilibrio microbico riscontrato nei pazienti Covid si associasse anche a livelli elevati di citochine infiammatorie e di marker di danno tissutale, come la proteina C-reattiva e alcuni enzimi, suggerendo che il microbioma intestinale potrebbe influenzare da una parte la risposta del sistema immunitario all'infezione e, dall’altra, la gravità e l'esito della malattia.

"Alla luce del fatto che pazienti guariti continuano a presentare sintomi quali affaticamento, dispnea e dolori articolari, alcuni anche mesi dopo l'esordio della malattia, i nostri dati consentono di ipotizzare che uno stato di disbiosi potrebbe contribuire agli effetti immuno-correlati nel post-Covid", commentano di Autori.  “Certo, il nostro è uno studio osservazionale e, in quanto tale, non ci consente di trarre conclusioni dirette su una correlazione causa-effetto, così come sappiamo che il microbiota intestinale varia ampiamente tra le diverse popolazioni e, pertanto, i cambiamenti da noi osservati potrebbero non essere trasferibili in automatico ad altri pazienti Covid. Crescono però le evidenze sul fatto che i microbi intestinali giocano un ruolo nelle malattie infiammatorie intra o extra-intestinali. Rafforzare la presenza di specie batteriche intestinali benefiche impoverite dall’infezione di Sars-coV-2 potrebbe rappresentare una nuova strada per mitigare la gravità della malattia grave,".

Nicola Miglino

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