Cibi ultraprocessati (Upf) nuovamente sotto accusa: aumentano il rischio di insorgenza dei tumori e la mortalità correlata, in particolare per quanto rigarda ovaio e mammella. A segnalarlo, i risultati di uno studio condotto da ricercatori dell’Imperial college di Londra e pubblicati di recente su eClinical Medicine.

La classificazione Nova degli alimenti, basata sul grado di processazione, è diventata sempre più popolare e viene presa come riferimento in numerosi studi osservazionali oltre che in linee guida e raccomandazioni in ambito nutrizionale. Un recente lavoro, pubblicato su Nutrition research reviews e condotto da un gruppo di ricercatori italiani, solleva alcune obiezioni sul metodo di classificazione e valutazione, proponendone una revisione critica da tenere in considerazione nella formulazione di politiche di salute pubblica. Ne abbiamo parlato con Andrea Poli, presidente della Nutrition foundation of Italy e coordinatore dell’analisi.

Una dieta cosiddetta globalizzata, che includa, in prevalenza, cibi ultra-lavorati non è solo dannosa per la salute ma sta causando gravi danni ambientali al pianeta per il suo impatto sulla biodiversità di specie vegetali disponibili per la nostra alimentazione. L’allarme giunge da un commento pubblicato nei giorni scorsi su Bmj global health a cura di un gruppo di esperti provenienti da Brasile, Stati Uniti e Australia.

Il termine definisce aumento nell’organismo di molecole contenenti gruppi carbonilici molto reattivi, derivanti, soprattutto, dal metabolismo di zuccheri e lipidi. Il rischio correlato è l’infiammazione metabolica cronica, innescata dall’accumulo di proteine e Dna modificati irreversibilmente dagli stessi carbonili. Parliamo del cosiddetto stress carbonilico, oggetto di una review di recente pubblicata su Nutrients. Ne abbiamo parlato con Stefano Menini, docente di Nutrizione umana presso il dipartimento di Medicina clinica e molecolare dell’Università La Sapienza di Roma e coordinatore dell’analisi.

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