Guardando al futuro, gli alimenti a base proteica, se permane l’attuale modello alimentare e di fronte a un costante incremento della popolazione planetaria, richiederanno una particolare attenzione per poter assicurare la sostenibilità su scala globale. Ma allora quali proteine saranno disponibili, oltre a quelle di origine animale e vegetale, già presenti nella nostra tradizione gastronomica? Le scelte future saranno compatibili con il modello di sviluppo agricolo italiano? E cosa ne pensano i consumatori? Di questo si è discusso nei giorni scorsi a Roma nel corso della V edizione della “Giornata della Nutrizione”, organizzata dal Crea Alimenti e Nutrizione.

Utilizzare una tecnica molto nota tra quelle di lavorazione dei cereali, la perlatura, per ricavare, da un orzo selezionato, una farina ricca di folati naturali destinata alla produzione di pasta e dolci. Questo quanto in corso di sperimentazione al Crea e oggetto di pubblicazione recente su Nutrients. Ne abbiamo parlato con Stefania Ruggeri, ricercatrice e nutrizionista Crea-Alimenti e Nutrizione, nonché professore incaricato di Healthy food design all’Università di Roma Tor Vergata.

Pofacs, ovvero “Conservabilità, qualità e sicurezza dei prodotti ortofrutticoli ad alto contenuto di servizio”. Parliamo di un progetto coordinato dal Crea Orticoltura e Florovivaismo nato un anno fa e mirato a sviluppare innovazioni di prodotto e di processo, per migliorare la sicurezza, la qualità, la conservabilità e gli aspetti nutrizionali sia nella fase di pre e post-raccolta, con un occhio attento alla sostenibilità del processo, alle tendenze di consumo e alle strategie per promuovere i prodotti ortofrutticoli ad alto contenuto di servizio nell’ambito della cosiddetta III (frutta e verdura surgelate), IV (ortofrutta fresca , lavata, confezionata e pronta al consumo) e V (frutta e verdure cotte e ricettate e pronte al consumo) gamma.

La domanda di peperoncino dei consumatori italiani è in crescita continua, ma la produzione nazionale è scarsa e copre solo il 30% del fabbisogno. Il resto proviene da mercati extra-Ue (2mila tonnellate annue da Cina, Egitto, Turchia), viene importato a prezzi stracciati (1/5 in meno) e si caratterizza per i bassi standard qualitativi, che penalizzano la filiera Made in Italy.

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