L’utilizzo di integratori alimentari in età pediatrica è un fenomeno in forte crescita nel nostro Paese, al punto che un gruppo di ricerca coordinato da Maria Daglia, docente di Chimica degli alimenti all’Università Federico II di Napoli, ha deciso di prendere in esame i dati oggi disponibili su efficacia e sicurezza riportandoli in una review pubblicata di recente su Nutrients.

È decisamente pericoloso il legame tra bassi livelli di vitamina D e Covid-19. L’associazione era stata ipotizzata molto precocemente rispetto all’esplosione in Italia della pandemia, con una lettera pubblicata a marzo 2020 sul British medical journal. Il tema è tornato alla ribalta durante le giornate della 5° International Conference on Controversies in Vitamin D tenutasi a Stresa dal 15 al 18 settembre scorsi.

La supplementazione con vitamina D non aiuta ad alleviare sintomi e a migliorare la qualità di vita nei pazienti con sindrome dell’intestino irritabile (Ibs). Ciononostante, si tratta di pazienti molto spesso in condizione di ipovitaminosi D e a rischio di caduta e frattura ed è pertanto raccomandabile integrare quando necessario a favore di una migliore condizione generale di salute. Questi i risultati di uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato vs placebo, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Sheffield e pubblicato sull’European journal of nutrition.

Il Gioseg (Glucocorticoid induced osteoporosis skeletal endocrinology group) ha da poco pubblicato un documento su Covid-19 e vitamina D curato da alcuni dei più autorevoli esperti italiani in materia. La necessità nasce dal dibattito in corso sul potenziale impatto negativo dell’ipovitaminosi D sull’incidenza dell’infezione da Sars-CoV-2 e sulla prognosi del Covid-19.

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