La dieta chetogenica potrebbe presto rivelarsi uno strumento prezioso in grado di ridurre la necessità di ricovero in terapia intensiva se non addirittura la mortalità in pazienti affetti da Covid-19. L’ipotesi, allo studio presso il Policlinico San Martino di Genova, è frutto di una serie di considerazioni fatte già lo scorso marzo da Samir Sukkar, direttore di Dietetica e Nutrizione clinica all’Ospedale genovese, condivise con Matteo Bassetti, che al San Martino dirige la Clinica di Malattie infettive, e pubblicate nei giorni scorsi su Nutrition. Nel frattempo, cominciano ad arrivare i dati di una sperimentazione clinica prossimi alla pubblicazione.

Mentre la fisiopatologia dell'emicrania non è completamente compresa, l'evidenza suggerisce che i fattori dietetici svolgono un ruolo in diversi possibili meccanismi. La dieta può avere un effetto sulla modulazione di neuropeptidi, neurorecettori e canali ionici, sistema nervoso simpatico e metabolismo cerebrale del glucosio, causando infiammazione, rilascio di ossido nitrico e vasodilatazione.

Un ampio quadro del mondo della nutrizione che da una parte mostra la bellezza della biochimica che ne regola il funzionamento e, dall’altra, i fallimenti dell'establishment medico nella sua demonizzazione di ciò che è “grasso” e delle diete a basso contenuto di carboidrati e chetogeniche.

Una dieta chetogenica può scatenare diversi sintomi para-influenzali nelle prime settimane. Il picco viene raggiunto entro 7 giorni per poi decrescere e scomparire nel giro di quattro settimane. Queste le conclusioni di uno studio pubblicato su Frontiers in nutrition.e condotto attraverso il monitoraggio di diversi forum on line dedicati alla cosiddetta keto-flu, o influenza da chetosi, che colpisce frequentemente chi decide di seguire una dieta low-carb.

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