In collaborazione con Norsan

Il numero di soggetti caratterizzati da sovrappeso, diabete mellito di tipo 2 e alterazioni della funzionalità epatica legate a un fegato steatosico è in costante aumento. Younossi et Al. nel 2016 [1] indicavano la prevalenza globale di steatosi epatica non alcolica (NAFLD) al 25,24% (CI 95%: 22,10-28,65), con la più alta prevalenza in Medio Oriente e Sud America e la più bassa in Africa.

Spesso, le cause risiedono nell’alimentazione e nello stile di vita, favorenti uno stato di infiammazione silente, anticamera di vere e proprie malattie cardiometaboliche. È importante migliorare l’assunzione dei macronutrienti, ottimizzando l’apporto di sostanze nutritive essenziali che concorrono alla regolazione dell'infiammazione.

La steatosi epatica non alcolica (Nafld) è una condizione clinica caratterizzata dall’infiltrazione degli epatociti da parte dei lipidi. È molto diffusa nella popolazione generale, colpendo il 25% degli adulti, con una prevalenza raddoppiata nei pazienti con sindrome metabolica, diabetici e obesi. Quasi un terzo dei casi di Nafld evolve in steatoepatite non alcolica (Nash), una condizione più grave caratterizzata da stato infiammatorio e da una degenerazione tissutale che può sfociare, nel tempo, in fibrosi e cirrosi epatica.

È un sottoprodotto del metabolismo del triptofano, frutto del lavoro dei nostri batteri intestinali, e ne sono ricche molte verdure, in particolare le crucifere. Parliamo dell’indolo, molecola che un recente studio pubblicato su Hepatology ha individuato come efficace strumento d’azione contro la steatosi epatica non alcolica (Nafld), patologia generalmente associata a sovrappeso e obesità, caratterizzata da un accumulo anomalo di trigliceridi nel fegato, legato per lo più a diete troppo ricche di grassi.

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