Allo scopo di evitare reclami da parte delle autorità, atti di concorrenza e, nella peggiore delle ipotesi, il ritiro di un prodotto, è quindi opportuno conoscere i criteri di demarcazione decisivi e tenere conto della giurisprudenza attuale. Di recente il Tribunale amministrativo federale tedesco, in ordine ad una significativa vicenda, ha affrontato questo delicato ed attuale tema (sentenza del 7 novembre 2019 – 3 C 19.18).
Criteri di demarcazione della giurisprudenza precedente
Prendendo in esame le innumerevoli sentenze, soprattutto del contesto tedesco, che hanno portato a distinguere gli integratori alimentari dai medicinali, è possibile rilevare alcuni principi e criteri fondamentali per una corretta classificazione:
- la distinzione si basa principalmente sul concetto di medicinale, definito dalla Direttiva 2001/83/CE all’art. 1 sotto il duplice profilo di “medicinale per presentazione” e “medicinale per funzione”;
- l’effetto farmacologico del prodotto è di fondamentale importanza se si considera che può in maniera significativa sulle funzioni fisiologiche del corpo umano (sentenza del 10 febbraio 2000 - I ZR 97/98, sentenza del 25 luglio 2007 - 3 C 23/06, sentenza del 9 giugno 2005 – C-211/03, C-299/03, da C-316/03 a C-318/03);
- l’azione farmacologica del prodotto deve essere supportata da valide prove scientifiche (sentenza del 15 gennaio 2009 – C-140/07 e sentenza del 25 luglio 2007 - 3 C 23/06);
- infine, si deve fare riferimento alla destinazione d’uso: occorre quindi stabilire se, tenuto conto delle modalità d’uso, dell’ampiezza della sua diffusione, della conoscenza che ne hanno i consumatori e dei rischi che possono derivare dalla sua utilizzazione, si tratti di un prodotto terapeutico o destinato a integrare la normale dieta (sentenza del 15 gennaio 2009 – C-140/07, sentenza del 26 giugno 2008 - I ZR 61/05, sentenza del 4 luglio 2009 - C 153/10).
I rischi per la salute sono determinanti
Ma torniamo alla sentenza che qui più interessa.
Innanzitutto, si è trattato di decidere in merito a capsule contenenti 100 g di estratto secco di foglie di ginkgo biloba, confezionate in due prodotti con denominazione commerciale differente.
Nel 2009 il ricorrente, sebbene incerto in merito alla qualificazione del proprio prodotto che già commercializzava in Austria sotto forma di integratore, aveva chiesto conferma al Bvl (Ufficio federale per la tutela dei consumatori e la sicurezza alimentare) riguardo alla possibilità di espanderne la vendita anche in Germania. L’Ufficio si era opposto sostenendo la suscettibilità del prodotto di svolgere un effetto farmacologico sul corpo umano, risultando di conseguenza un medicinale a tutti gli effetti, per via anche della dose raccomandata giornaliera di una capsula. Segue una serie di decisioni purtroppo senza esito, che portano quindi a una situazione di vera incertezza.
In particolare, i giudici di Lipsia, a seguito di varie vicende, hanno ravvisato in una sentenza d’appello un errore di diritto, quantunque abbia ritenuto legittimo l’aver constatato l’effetto farmacologico delle capsule in questione. A tale riguardo, si era infatti cercato di dimostrare che gli ingredienti presenti nella dose raccomandata contribuissero ad aumentare la memoria e la capacità di apprendimento, oltre a ridurre la viscosità del sangue.
Tuttavia, l’elemento maggiormente controverso è stata l’omessa inclusione nella valutazione generale degli eventuali rischi derivanti per la salute a seguito dell’assunzione del prodotto. Viene pertanto introdotto un canone interpretativo, già considerato in passato ma dalla portata innovativa: qualora gli effetti di un prodotto sulle funzioni fisiologiche dell’organismo confinino il prodotto in una zona intermedia situata tra gli integratori e i prodotti farmaceutici, i rischi per la salute divengono decisivi in sede di classificazione.
Conseguenze pratiche
L’accento posto sui rischi per la salute merita sicuramente i maggiori riguardi e ciò è dovuto principalmente al fatto che al giorno d’oggi tale criterio non si rinviene praticamente in alcuna disposizione normativa.
Si tratta sicuramente di un criterio ovvio, ma finora solo marginale, che dovrebbe rivestire in futuro una particolare importanza nella valutazione amministrativa e giuridica dei prodotti.
È evidente che tale situazione dimostri come le incongruenze che investono integratori e medicinali siano riscontrabili a tutti i livelli della commercializzazione e diventino rilevanti ancor prima che gli stessi possano svolgere la funzione per cui sono pensati, e cioè favorire o provvedere a correggere, ripristinare o modificare il nostro stato di salute, che rimane sempre il bene maggiormente meritevole di tutela.
Valentina Faziani, Regulatory affairs specialist, Imola (Bo)
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