Non è affatto vero che consolarsi con un barattolo di gelato o una scatola di cioccolatini sia il sistema migliore per affrontare una situazione negativa: invece che migliorare l’umore, un eccesso di zuccheri può aumentare il rischio di depressione. Lo sostiene uno studio pubblicato su Bmc Psychiatry che ha rilevato come un aumento di 100 g/die di zucchero nella dieta si collegherebbe a una prevalenza di depressione più elevata del 28%.

Identificato un altro responsabile del rischio di malattie cardiovascolari che va a fare compagnia all’eccesso di cloruro di sodio. Parliamo degli zuccheri liberi, ovvero gli zuccheri aggiunti e quelli naturalmente presenti nel miele e nei succhi di frutta, che sono stati individuati come fattori di rischio in uno studio pubblicato di recente sul British journal of medicine. I risultati rafforzano le prove a sostegno della raccomandazione di ridurre il consumo di zucchero libero al di sotto del 5% dell'energia giornaliera totale.

Il termine definisce aumento nell’organismo di molecole contenenti gruppi carbonilici molto reattivi, derivanti, soprattutto, dal metabolismo di zuccheri e lipidi. Il rischio correlato è l’infiammazione metabolica cronica, innescata dall’accumulo di proteine e Dna modificati irreversibilmente dagli stessi carbonili. Parliamo del cosiddetto stress carbonilico, oggetto di una review di recente pubblicata su Nutrients. Ne abbiamo parlato con Stefano Menini, docente di Nutrizione umana presso il dipartimento di Medicina clinica e molecolare dell’Università La Sapienza di Roma e coordinatore dell’analisi.

Non è possibile definire su base scientifica un livello massimo tollerabile di zuccheri negli alimenti. Queste le conclusioni di un gruppo di esperti dell’Efsa chiamati a esprimersi da un gruppo di Paesi Ue. Avviata ora una consultazione pubblica che rimarrà aperta fino al 30 settembre, mentre il 21 settembre l’Efsa organizzerà un incontro pubblico per dibattere sul tema.

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