Un recente numero speciale di Nutrients ha raccolto alcuni rilevanti contributi sulla correlazione tra consumo di cereali e salute. Una serie di ricerche originali e review che offrono una panoramica aggiornata sui rapporti, in particolare, tra assunzione di grano e malattie glutine-correlate. A coordinare lo speciale, Fabiana Zingone, gastroenterologa e ricercatrice dell’Università di Padova, cui abbiamo chiesto di raccontarci gli aspetti più rilevanti emersi dal lavoro.

Negli ultimi dieci anni è scomparso un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati ed effetti dirompenti sull’economia, sull’occupazione e sull’ambiente. A denunciarlo è la Coldiretti nel corso del “Villaggio contadino”, tre giorni di manifestazione tenutasi di recente a Milano.

Per la trebbiatura 2019, secondo una prima stima Coldiretti si prevede un raccolto di quasi 7 miliardi di chili di grano, coltivati su oltre 1,8 milioni di ettari, rispetto ai circa 2,3 milioni di un decennio fa. Se i terreni coltivati calano, si registra però in controtendenza un boom della coltivazione di grani antichi che, nel giro di due anni, hanno visto moltiplicarsi per sei le superfici coltivate, passando dai 1.000 ettari del 2017 ai 6.000 attuali, trainato dal crescente interesse per la pasta 100% italiana e di qualità. Un esempio è il grano Senatore Cappelli, ma da Nord a Sud sono state recuperate tante altre varietà, dalla Timilia al Saragoilla, dal gentil Rosso al Farro dicocco e monococco, dal Russello al Burattata. Un lavoro di valorizzazione importante non solo dal punto di vista economico ma anche ambientale poiché – sottolinea Coldiretti – questi tipi di grano antico sono particolarmente rustici, ovvero adattate a sopravvivere in condizioni ambientali ostili, poveri di nutrienti e di acqua con un limitato utilizzo di agrofarmaci.

Un lavoro che rischia di essere vanificato – sottolinea la Coldiretti – dai bassi prezzi riconosciuti ai coltivatori a causa delle speculazioni e delle importazioni dall’estero di prodotti che non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale vigenti nel nostro Paese. Dopo l’approvazione dell’accordo di libero scambio (Ceta), nei primi tre mesi del 2019 il Canada è risultato il primo fornitore di grano duro dell’Italia con un aumento di 600 volte delle importazioni di prodotto trattato con l’erbicida glifosato in preraccolta, secondo modalità vietate sul territorio nazionale dove la maturazione avviene grazie al sole.

Una situazione che mette in pericolo la vita di oltre trecentomila aziende agricole che coltivano grano spesso in aree interne senza alternative produttive e per questo a rischio desertificazione. Alla perdita economica e di posti di lavoro si aggiunge il rischio ambientale in un Paese che con l’ultima generazione ha perso oltre un quarto della terra coltivata per colpa dell’abbandono, della cementificazione e degli attacchi degli animali selvatici che distruggono i raccolti agricoli.

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