In occasione del salone dell’Agricoltura che si è tenuto di recente a Parigi, Disney ha lanciato il suo nuovo marchio di prodotti nutrizionali destinati ai ragazzi. Disney Cuisine il nome con cui accompagna patatine, uova, acqua, corn flakes, biscotti sviluppati con partner commerciali (Volvic, Kellog’s, P’tit Louis, Daco Bello) e che vedono come ambasciatori, sulle confezioni, le star Disney, da Topolino, a Remi, il cuoco di Ratatoulille, da Chewbecca di guerre stellari alla Regina delle Nevi.

La notizia, però, non ha mancato di suscitare polemiche in Francia, giacché l’annuncio è arrivato proprio nel ben mezzo di un dibattito in parlamento teso a istituire una normativa più severa sui messaggi di marketing rivolti ai più giovani in tema di cibo. Proprio in Francia, tra l’altro, le autorità sanitarie hanno approvato Nutri-Score, una sorta di tabella che classifica in cibi in base alle loro qualità nutrizionali in una scala da A ad E. Non è obbligatorio adottarla e, tra chi si è rifiutato, figurano Coca Cola, Nestlé e la stessa Kellog’s.

Disney ha ribadito come il suo impegno in ambito nutrizionale sia precedente a tutte le riflessioni che hanno portato alla ratifica del Nutri-Score. Per Anne-Florence Sattonnay, direttrice del programma "Disney all in shape", il logo verde “è stato progettato come strumento identificativo" in modo che "i genitori possano acquistare prodotti per i loro bambini a occhi chiusi", benché Disney, sottolineano i critici, faccia riferimento a una sua carta nutrizionale (disponibile on line) stabilita secondo propri criteri e senza una convalida scientifica o indicazione degli esperti consultati.

"La carta della Disney non è adatta alle abitudini alimentari francesi", osserva la Commissione “Qualità dell’offerta alimentare” dell’Associazione dietisti transalpini. "Siamo anche preoccupati per il fatto che le porzioni menzionate non vengono mai rapportate all’età dei bambini e che la tipologia di proposta favorisca chiaramente gli spuntini e il consumo di prodotti ultra-elaborati".

"Sarebbe stata garanzia di maggior fiducia per i consumatori adottare una scala di valutazione approvata dalle autorità sanitarie", si rammarica Hercberg Serge, che ha coordinato i lavori per la messa a punto del Nutri-Score.

Chiosa dalle colonne di Le Monde Mégane Ghorbani, dell’Ong Foodwatch, paladina della campagne per la trasparenza delle etichette sui cibi: "E’ un problema che l'industria sviluppi in autonomia propri standard nutrizionali. Finora, ci siamo affidati all’iniziativa individuale su base volontaria delle aziende per l’adesione a criteri standard ma ora scopriamo che non funziona”.

 

 

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