Dr. Ghidini, qual è, innanzitutto, la definizione di postbiotici?
I postbiotici sono prodotti a basso peso molecolare costituiti da frammenti formati durante il processo di fermentazione di batteri intestinali vivi. Questi possono includere sostanze come acidi organici, enzimi, peptidi e polisaccaridi, mentre, a differenza dei probiotici, non contengono batteri vivi. I postbiotici si possono trovare negli alimenti fermentati ma possono essere assunti anche attraverso integratori alimentari. Essi hanno una struttura chimica tale da garantire una lunga durata di conservazione e una stabilità necessaria per l'uso in determinati alimenti e integratori alimentari.
Perché si stanno rivelando interessanti in ambito oncologico?
I postbiotici sono coinvolti in diversi meccanismi fisiologici, come la sana funzionalità intestinale, la modulazione del sistema immunitario e di alcuni processi metabolici. Nella malattia tumorale, i postbiotici hanno un ruolo rilevante nel potenziamento del microbioma intestinale, ovvero la vasta popolazione di microorganismi presenti nel tubo digerente. Vi sono ormai evidenze sempre più forti di come un microbioma intestinale alterato o non equilibrato possa favorire la proliferazione tumorale.
Cosa ci dice, oggi, l'evidenza scientifica in questo ambito?
L'interesse della ricerca si è concentrato sul ruolo del microbioma intestinale e dei suoi metaboliti nella prevenzione e protezione dai meccanismi pro-tumorali. Gli studi clinici si sono principalmente concentrati sulla somministrazione di prebiotici e sul monitoraggio dei livelli di metaboliti del microbioma fecale piuttosto che sulla somministrazione diretta di postbiotici. Diversi studi hanno valutato gli effetti dei postbiotici a livello preclinico in linee cellulari e topi e, in particolare, sono state studiate molecole come l'acido lipoteicoico, i lipopolisaccaridi e gli acidi grassi a catena corta. Diversamente, gli studi clinici sull'uomo utilizzanti postbiotici sono pochi e con risultati contrastanti. Sono stati principalmente testati gli acidi grassi a catena corta e la vitamina K.
D.ssa Castagnone, quali i limiti e le opportunità?
I postbiotici, a differenza dei probiotici non richiedono la contestuale presenza di prebiotici, vedi fibre, a livello del microbioma intestinale per essere attivati. In aggiunta, non richiedono particolari condizioni ambientali per essere conservati, diversamente dai probiotici, che sono microorganismi vivi. Sempre in quanto non costituiti da microorganismi vivi, l'utilizzo dei postbiotici non è associato ad alcun rischio infettivo. Tra i limiti correlati all'utilizzo dei postbiotici vi è l'elevata variabilità interindividuale, dal momento che i livelli di postbiotici sono strettamente correlati alla composizione del microbioma intestinale, con variazioni in diverse condizioni fisiologiche o patologiche. In aggiunta, i postbiotici richiedono un processo di purificazione industriale potenzialmente lungo e oneroso, che può costituire un ostacolo allo sviluppo da parte delle ditte farmaceutiche.
Perché ritenete più promettente l'uso dei cosiddetti simbiotici?
I simbiotici sono una combinazione di prebiotici e probiotici, coniugano
l'attività dei microorganismi vivi con le fibre non digeribili e, a differenza dei postbiotici, mostrano una biodisponibilità più omogenea tra gli individui ed un'emivita più lunga.
Quali sono, dunque, le attuali prospettive nell'uso di post-biotici e simbiotici in oncologia?
Sono sicuramente necessari ulteriori studi per valutare l'utilizzo dei postbiotici e simbiotici in ambito oncologico, dal momento che le evidenze attuali sono ridotte. Indubbiamente, i postbiotici e i simbiotici possono avere un ruolo nel funzionamento del sistema immunitario, nella modulazione delle risposte infiammatorie e nell'interazione con il microbiota intestinali, tutti attori coinvolti nella risposta antitumorale.
Nicola Miglino