Integrazione nutrizionale oggi: perché?

10 Novembre 2021

 

Tra i protagonisti dell’XI Congresso nazionale Sinut (Società italiana di nutraceutica) tenutosi di recente a Bologna, Andrea Poli, presidente della Nutrition Foundation of Italy, ha proposto un interessante intervento su quale possa essere oggi un razionale che giustifichi l’impiego di integratori alimentari in un percorso di vita radicalmente cambiato negli ultimi cento anni: l’età media si è allungata, andando ben oltre il limite legato alla funzione riproduttiva della nostra specie e determinando così la comparsa di malattie croniche che richiedono apporti nutrizionali differenti e che aprono le porte a una possibile supplementazione.

Prof. Poli, come è cambiato, a partire dal secolo scorso, il rapporto tra alimentazione e salute?

La relazione tra alimentazione, integrazione nutrizionale, benessere e malattia, è diventata notevolmente più complessa a partire dall’inizio del secolo scorso, quando è iniziato nei paesi industrializzati il rapido e importante aumento della durata media della vita che ha consentito a una parte crescente della popolazione di raggiungere una fase della vita umana non rilevante dal punto di vista evoluzionistico, perché successiva alla conclusione, attorno ai 30-40 anni, della fase vitale finalizzata invece alla nascita e all’autonomizzazione della generazione successiva, che è l’unica rilevante ai fini della conservazione della specie.

Cos’ha comportato l’allungamento della vita media?

Durante questa fase avanzata della vita si assiste spesso alla comparsa, con frequenza crescente al crescere dell’età, di patologie di carattere degenerativo, dall’aterosclerosi e sue complicanze cliniche alle malattie neurodegenerative e ai tumori, che per la loro insorgenza relativamente tardiva non comportano rischi significativi per la continuazione della specie, e nei riguardi delle quali non si sono quindi sviluppati nel tempo efficaci meccanismi di protezione.

Tutto ciò può avere riflessi sul ruolo dell’apporto di nutrienti chiave?

È presumibile che questi meccanismi, guidati dalle ferree logiche dell’evoluzione darwiniana, abbiano da un lato modellato alcuni aspetti metabolici essenziali dell’organismo connessi all’apporto di nutrienti o di principi attivi che potevano essere ottenuti dall’alimentazione, ma non c’è motivo invece di immaginare che gli stessi meccanismi abbiano necessariamente reso compatibili quelli potenzialmente coinvolti nella protezione dalle malattie degenerative prima ricordate con gli stessi apporti alimentari.

Può farci qualche esempio?

Pensiamo ai folati. È ragionevole che un loro apporto con la dieta sia compatibile con un’efficiente sintesi dell’emoglobina, senza la quale l’organismo non avrebbe alcuna possibilità di raggiungere l’età necessaria per garantire lo sviluppo delle generazioni successive, ma non c’è alcun motivo, almeno sul piano evoluzionistico, per il quale l’apporto degli stessi folati debba essere in grado di mantenere a livelli non pericolosi l’omocisteinemia. L’aumento del rischio cardiovascolare in età avanzata che correla con l’aumento dell’omocisteinemia stessa, infatti, non è in alcun modo in grado di porre a rischio la continuazione della specie, e di conseguenza non ha attivato la comparsa, durante l’evoluzione umana, di efficaci meccanismi di difesa e protezione.

Da qui la possibilità di ricorrere a un’eventuale supplementazione, quando necessario?

Da quanto detto, esistono quindi chiari presupposti teorici per immaginare che il controllo di condizioni come quella prima citata, piuttosto che l’aumento della colesterolemia, dello stress ossidativo, del fabbisogno di calcio e così via, possano beneficiare, o addirittura necessitare, di un’integrazione ben calibrata, con un solido razionale scientifico, che consenta di migliorare la durata e la qualità della vita anche nella sua fase più avanzata.

A cura della redazione

 

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