Arriva dagli Stati Uniti un’ulteriore conferma del danno che i cibi fritti possono procurare alle arterie portando a coronaropatia.

 

Si chiama altoleico o alto oleico, ovvero ad alto contenuto di acido oleico. Come un extravergine d’oliva, ma invece è olio di semi di girasole arricchito in acido oleico, vitamine e antiossidanti, ottimo per friggere in quanto stabile fino a 230 gradi.

Se ne è parlato di recente in occasione di Olio officina festival, manifestazione milanese dedicata al mondo dei condimenti, durante la quale l’Associazione italiana dell’industria olearia (Assitol) ha fatto il punto sul modello di sostenibilità che ruota intorno a questa coltura. Ce ne racconta Carlo Tampieri, presidente del Gruppo oli da semi di Assitol

Presidente Tamperi, di che prodotto stiamo parlando?

Il girasole altoleico rappresenta una varietà della pianta di girasole, ma con un contenuto di acido oleico superiore all’80%. Questo grasso monoinsaturo di cui è ricco, per esempio, l’olio d’oliva, è invece piuttosto basso nell’olio di girasole convenzionale, ed è consigliato per le sue qualità salutistiche e per la resistenza alle alte temperature. Questa coltura è una delle grandi novità nel panorama agroalimentare. Il consumatore ne sa ancora poco, ma ci chiede produzioni sostenibili e italiane. L’altoleico va proprio in questa direzione. Oggi il 90% del girasole coltivato in Italia è rappresentato da questa varietà.

Qual è il volume di produzione italiana?

Secondo le nostre stime, nel 2019 la produzione italiana di semi di girasole si è attestata sulle 270 mila tonnellate: un risultato positivo, ma che non basta a coprire la domanda, interna ed estera. Del resto, il seme di girasole è alla base di numerosi filoni produttivi, che vanno dall’olio, apprezzato dall’industria alimentare e in ambito bakery, alle farine per uso zootecnico e alle oleine, fondamentali per l’industria oleochimica ed energetica, ad esempio per il biodiesel.

Perché parlate di sostenibilità in relazione a questo prodotto?

Nel nostro modello di produzione, dagli scarti si ottiene energia verde, sia per l’autoconsumo sia per la rete elettrica esterna, mentre l’acqua viene utilizzata per il raffreddamento degli impianti, evitando di attingere a una risorsa primaria. Dal seme, insomma, si può sviluppare un modello di economia circolare, che assicura basso impatto ambientale e riduce gli sprechi. Una sostenibilità che inizia dal campo, soprattutto per quanto riguarda la corretta gestione del suolo e delle risorse impiegate. Nella coltivazione dell’altoleico, si è infatti inserita l’innovazione tecnologica. Horta, azienda spin off dell’Università Cattolica di Piacenza, ha infatti sviluppato un sistema di supporto alle decisioni, che affianca gli agricoltori nella gestione razionale e sostenibile della coltura e nei trattamenti fitosanitari aumentando le rese e riducendo il consumo di risorse e suolo.

Prospettive future?

L’auspicio è che, a fronte di una produzione di oleaginose deficitaria rispetto al fabbisogno dell’agroindustria, l’altoleico possa davvero rappresentare un contributo importante al rafforzamento del nostro settore.

 

 

 

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